LE ARMI DI UN VECCHIO
Non possedere altro che due fedi nuziali e quattro assi di casa sul lungomare è la prova di quanto resti ancora per me da succhiare. Conservo il fiore della duna in un minuscolo barattolo di miele dal tappo oro. Lo conservo da sempre, so che mi è grato. Resiste alla polvere, ai movimenti del pavimento ogni volta che le strade accavallate le une alle altre fanno del passeggio un privilegio per gli angeli. Il fiore della duna ha i petali ritagliati, si tiene lontano dal tatto veloce e dalle scosse che rischiano di fargli perdere il polline e l’essenza. Mi avvicino piano, lui resiste sullo scaffale e il sigillo di vetro è un talamo di Penelope dove tutto è possibile solo se commisurato a un richiamo sottile. Commenta i silenzi, l’inizio della catechizzazione forzata di ex artigiano del rame alle soglie. Ecco dove e perché l’armadio vuoto di una moglie può risarcire della feroce adorazione per lui e i suoi scatti impressi nei sensi. Riempirlo è una mossa finale, un compendio di tutto come scegliere la teca per il giglio di mare. L’ho colto tra uno spazio e l’altro delle cure di Marta, esitavo come un bambino beneducato, ma era una resistenza senza peso.
Marta sa riconoscere i fiori proibiti, ma ignora il rischio pur di correre fino alla battigia in camicia da notte e calzette e coglierne qualcuno. I piedi sulle dune e lo strascico dell’essenza, i clacson che risvegliano il bisogno che qualcuno mi porti i suoi abiti dalla clinica e che abbiano il suo odore non mi importa se mescolato di ricovero. No, non è una gran fortuna percorrere dieci metri e tastare con mano che i polmoni rigurgitano anni, devo attendere qui e risparmiare le munizioni. L’unica divagazione è lui, il fiore, l’ho appoggiato sul nostro letto. Tutto è lecito purché il giglio trovi una dimora, un terriccio tra i nostro odori. Mi hanno garantito che le vestaglie e le camicie da notte di Marta sono state ripiegate e richiuse nella solita valigia coi lacci rossi. Lei la riempie continuamente di legni e frammenti di scogli, la sua camera è a picco sul Tirreno. Il suo canto si ripete ogni volta che passeggiamo, io l’accompagno coi miei versi e le imitazioni delle orchestre. Lasciamo che il pubblico della spiaggia pensi a due pazzi usciti da una caricatura della stagione.
Ora non è più tempo, dovrei usare gli imperfetti e invece mi appello alla tolleranza verso me stesso. Devo aspettare, non è sufficiente fare propositi. Ho promesso di resistere fino a che il fiore sarà completamente ripiegato su se stesso prima di raccogliere le sue cose e dar loro una destinazione, non ho intenzione di chiudere a chiave anche la porta. Lei potrebbe salire, voglio che i suoi abiti tornino nel nostro armadio e che la valigia sia piena di legni da ardere nelle nevicate invernali. Non si accorgerebbe delle loro differenze, ormai sono quasi tutti bianchi e lisci, le camicie da notte hanno scalzato la lingerie più insinuante che mi faceva tremare di piacere. La sua pelle si confonde quando è china a cercare cerbottane dentro le onde pazze, le conchiglie turrite sono un gran bottino. Marta è sempre più bianca, si infila il giglio in un orecchio e aspetta che io glielo tolga prima che salga il vento. Vuole che il crepuscolo si ingozzi del momento perfetto in cui l’acqua respira e si addormenta nell’esalazione della giornata, vuole che io le baci le dita una per una.
Hanno bussato e io resto in silenzio. Marta canta, non bussa, la riconosco dalla cucina. Marta non c’è e loro, dannati, continuano a bussare. Bussano e io non apro. Marta muoverebbe la chiave intonando Rigoletto o Boheme, interpreterebbe la diva celeste. C’è abbaglio e confusione. Continuano a bussare. Il pacco coi vestiti torna a casa e il fiore della duna si è ripiegato. Bussano e gridano, sono sempre più sordo. Fingo che il campanello si sia rotto e la protagonista dell’aria morta di male incurabile. Le calzette di Marta rimbalzano sopra il letto con tutto il bagaglio degli umori e dei suoi seni piccoli. Prego, entrate pure, non sentivo. Sono sempre quel bambino beneducato. Sapete, come si dice, la fatica degli anni. Cosa mi avete portato? Come posso ripagarvi di tanta gentilezza? Non preoccupatevi, se necessario mi farò aiutare da qualcuno a riempire l’armadio. Marta non c’è? Fingo e rido. Tra non molto le chiameranno le armi di un vecchio.
Giulia Valsecchi