Il diavolo teme il vento, Laura Pacelli

Il diavolo teme il vento

L’uomo avanzava curvo in avanti, la testa un po’ incassata tra le spalle. Il vento gli spingeva tra le gambe sottili la bottoniera del cappotto scuro, rivelando appieno la sua magrezza. Sotto la potente spinta dell’aria, i capelli brizzolati si ergevano in curiose volute, mentre il freddo gli pungeva il viso con mille aghi sottili. Tuttavia proseguiva imperterrito sulla salita, cercando di non curarsi del progressivo congelamento dei piedi, calzati in ricercate scarpe inglesi. Pensa al grande René, si diceva, arrancante per le strade della gelida Stoccolma; febbricitante, certo di essere vicino alla fine, aveva continuato ad impartire le lezioni alla sua Regina pur di renderla consapevole che anch’essa cogitava e dunque, poffarbacco, esisteva. Ma non c’era la regina Cristina assetata di sapere ad attenderlo quella sera, c’erano i Ferretti, mobilifici e salumi, curioso connubio di zampe e zamponi. Offrivano una cena nel loro salotto ottocento, velluti azzurro pavone e argenti lucidati dalla pingue peruviana, così era la vita sociale della gente che contava in quell’angolo ventoso di provincia. C’era di peggio, si disse, che invitare a fare salotto intellettuali e artisti locali, ed era dare credito, e carta di credito, agli operatori culturali, termine che evoca professionisti in camice bianco intenti a piantare il bisturi nell’ala piumata di qualche angelo trecentesco o a ricucire le ferite di qualche endecasillabo zoppo, ma che, ahimé, nella prosaica sostanza sta ad indicare oscuri personaggi che si ingozzano di paté e biglietti omaggio. Forse avrebbe fatto meglio a girare i tacchi, tornare a casa, farsi una minestrina col dado e mettersi a rileggere l’amato Calvino, o ad ascoltare Beethoven, magari le Sonate per pianoforte nella lucida esecuzione di Pollini… Che diritto aveva di sprecare su poltrone di velluto blue pavone il tempo che gli aveva assegnato il destino? Ma forse era solo il freddo a farlo ragionare così, e quel vento strano…

 

Certo quel mantello era proprio una gran rottura quando si trattava di andarsene in giro per il mondo, ma si sa che l’iconologia ha le sue regole e perfino a lui toccava rispettarle per evitare di rovinare il paziente lavoro di secoli  dei suoi affiliati. Lucifero in giacca a vento e cappellino di lana era poco credibile e un bel mantello rosso svolazzante faceva proprio la sua porca figura, per Dio! Modera il linguaggio, si disse, che qui non sei all’inferno e non puoi rischiare di rovinare tutto utilizzando parole o espressioni sbagliate. Il suo obiettivo ormai era lì a portata di mano,  che affrontava con passo rapido la curva prima dell’ultima salita. Di intellettuali ne aveva tentati molti, e sempre con ottimi risultati, quindi non vedeva nessun motivo perchénon dovesse portare a termine vittoriosamente anche questa impresa. Certo l’uomo era un tipo strambo, parco, frugale avrebbe detto, con le sue ritualità, le sue fobie e quei guizzi di ingenua fiducia nell’onestà di fondo dell’essere umano, che lui, francamente, trovava insopportabili. Poco sensibile al denaro, al potere, al successo, capace di controllare l’ira e la lussuria, lo aveva fatto dannare finché un giorno aveva intuito in un lampo di aver colto il punto debole: quell’uomo bizzarro coltivava una concezione estetica dell’esistenza, inseguiva l’idea che si potesse vivere escludendo dalla quotidianità lo squallore, la decadenza, il bisogno e i suoi ricatti, che si potesse, in una parola, pensare come un uomo libero, se non esserlo… che poi in fondo era la stessa cosa… Ma guarda te se non finiva per farsi trascinare anche lui in quella selva di pensieri fumosi! E’ così che si erano persi tanti giovani promettenti, votati al male per natura e diventati inconcludenti per correre appresso alle elucubrazioni. Sì, avrebbe offerto all’uomo che gli veniva incontro la possibilità di fare della sua vita un’opera d’arte, la garanzia di poter scegliere sempre, di avere la forza e le forze di poter dire no ogni volta che avesse voluto… cioè, quasi ogni volta, perché a lui non avrebbe potuto certo dire di no! Il trucco era tutto lì. Gli avrebbe offerto il bocconcino ghiotto dell’illusione della libertà… Gli si sarebbe parato davanti, l’avrebbe presa alla larga e poi, eccitando la sua curiosità, lo avrebbe condotto per mano verso i dorati, morbidi e profumati sentieri della dannazione… Bastava che si calmasse il vento…

 

Non che le cene dai Ferretti fossero mai state una gran cosa, ma c’era l’avvocato Bonardi, che conosceva da quando era ragazzo, e l’anziana professoressa Ferri, che si ricordava ancora di sua madre, e Franca, sempre bella ed esangue come una madonna preraffaellita. Poi dai Ferretti si mangiava bene, senza le orribili salse e gli imbastardimenti etnici che andavano tanto di moda. Avrebbe cenato, se ne sarebbe andato via presto e l’indomani si sarebbe alzato per tempo e avrebbe messo mano al suo lavoro di buona lena. Tanto oramai era quasi arrivato, la casa dei Ferretti era proprio sulla rocca, dietro l’angolo… Ma chi era l’uomo che gli stava venendo incontro? Il dottor De Pasquale forse, o Lucio Settimi del Circolo della caccia… Di chiunque si trattasse era avvolto in un lungo mantello di seta rossa, gonfiato dal vento come una vela di fuoco. Improbabile, pensò, che qualcuno dei suoi amici avesse deciso di adottare un abbigliamento così vistoso. Eppure quella figura aveva un che di familiare, e avanzava proprio verso di lui, come se avesse qualcosa da dirgli…

 

Eccolo a portata di mano, finalmente! La mia preda inerme, pronta a firmare il patto scellerato. Credete forse che  io collezioni anime? E cosa ne farei? No,  signori, io colleziono rese! Rese alla materia, alla finitezza, all’ansia…rese a me, tributi alla mia sovraumana abilità!   Niente può eguagliare l’ebbrezza di essere il principe delle tenebre,  l’implacabile, colui che nessuno può fermare, neppure tu, vento! Cosa pretendi? Di ostacolare i disegni del demonio? La superbia è il mio, non il tuo peccato! Vento dove mi porti?Non sevirà a niente, vento, a niente …

 

L’uomo proseguiva sulla salita, che si faceva sempre più ripida. Chissà cosa avrebbe voluto dirgli quel tipo dallo strano mantello. Magari era un illusionista, un mago come quelli che, quand’era bambino, si esibivano nelle fiere dei paesi vicini. Li osservava, notava le giacche stinte, le colombe tristi, i fiori di plastica nei cilindri lisi, e si rammaricava che la magia fosse tutta lì in quel frullare di piume scolorite. Poi aveva scoperto che esistevano i grandi illusionisti, capaci di far scomparire la Statua della libertà o un aereo da turismo, che c’erano i maestri dell’escapologia e chi aveva dedicato una vita allo studio della misdirection. Così, avrebbe voluto chiedere all’uomo col mantello quale fosse la sua specialità, se fosse lì per esibirsi in qualche teatro, se conoscesse il vecchio trucco della donna segata in due… ma era scomparso, come trascinato via, fatto prigioniero da un soffio d’aria più forte…

L’uomo tirò su il bavero del cappotto e accelerò. Che vento, pensò, che vento…

Laura Pacelli

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