Il faro
I
Il faro appare nella polvere che il mare ammassa
Ai margini della sua salina strada
Che la luce ha percorso fino alla bianca falce
Del tempo lunare in cui c’è luce
Ai piedi del faro e sulla via
Dove svanisce l’ombra umana
Si fa bianchezza
Passaggio
Latenza del suo sogno
II
Nascondeva il suo sole e la sua rosa
Rovesciando a terra stoviglie ed overcoat
Vasaio di una contabile necessità
Nel muro scalfito da fuoco e contagio
Da fenditure nella terra promessa
Sul pavimento di tavole disponeva
Di un’universa passività
Essendo migrati i cuori
In altri occidenti o sotto ai minareti
Di un’accidiosa Bisanzio
Dove le carni sono bianchi petali
Mentre cadono sopra perdute verginità
Fu allora che ne raccolse i frantumi
Dove salpava velieri
Dai cristalli nei quali erano stati
In altri stati e parti
Di sé lungo il vibrato
Dei raggi di un possibile aprile
Fino al sole che tesse maggio
Ed oltre nell’estate
Nell’invisibile chiarità
III
Passando nei casi che il giorno
Allatta da un suo cielo avaro e plumbeo
Vedi il professionista andare in banca
Dalla borsa slacciata aspergere
Di fuoco fatue armi
Un re del giorno ringiovanito
Da eoni di deserto che in un beige stinto
Lo cospargono di polvere senza umiltà
Nei vestimenti dove presagisci
L’ittero del cuore e nostalgia
Da immagini di carta che non brucia
Neppure alla fornace del sole esposta
E quant’altro di cielo in te
Non mi fa pulito nonostante
Incessanti docce d’acqua pesante
Non dimenticare il carnevale attorno
Ed il sangue sacrificale da cui viene
Odore di sciagura
Odore dell’angelica santità
Che ci farà tacere
Al suono delle cui corde vibreremo
Fino a costellazioni che abbiamo immaginato
Di aver visto in altri sogni
Mille di nuovo e non più
Se raccolto intero nelle cose
Pura astrazione di ciò che vuole
Essere detto e a dire
Inclina il raggio che già sale
Se raccolto nelle cose non ti so
Ancora calice che si spezza
Lasciami bere assieme a te
Lasciami partorire
L’uomo e la donna del futuro
Ai quali apparteniamo
IV
Ti sia dato proseguire ad esplorare
Mondi di parti in sé
Un turchese bizantino quasi d’oro
E di rosso solo il ricordo
Una serpe dionisiaca avvolta
In filamenti di riverberi alla chiglia
La croce e la falce rinascente
I leopardi di Lepanto ed il dio sospeso
Nella memoria di Veneto e pittura
Che per eresiarchi e autocrati
Bagna la storia di sangue
Costringe a scambiare mète e schiere
Sempre meno angeliche
Persino nello squillo di tromba
Del sistema che si avvia operativo
Veloce fino al fiato che prendo
Nell’attimo che cerco presente
Dalle plumbee stanze della storia
Come ecatombe di desideri e sogni
Nirvana adesso imperativo
Oro purissimo che il sole sparge
Sopra il gemito dell’orizzonte
E sospinge sulle sponde che gli siamo
V
Doni da sconosciuti uomini del futuro
Ne vengano agli occhi chiari
Perché l’occhio è fin dove coglie
Lo sguardo lo fiorisce
A dispetto della composta di vita
Che orna le ciglia le sfuma
Con un’iride trascorsa nel tramonto
Ricombina l’idea al quesito
Al dono non veduto e non visibile
Da cui la visione in ipotesi si avvolge
Ai piedi della scala che discende
Sulla brulla terra la cui semina
Inventiamo con speranza e ostinazione
Pietra del nostro paragone
Dell’essere nel labile fiume
Lungo il quale ci risale
Ciò che appare
VI
Ti reco grazia perché mi fai sapere
Che sopra la virtù riposa l’intenzione
Felice nella sua profondità mutevole
Forse coronata di una nube di giustizia
Mi fai sapere che getta un’ombra
Questa corda del mondo che tu e un’altra
Altri soggetti che generi e da cui sei generata
Al pari di io che è un altro
E di altri ancora mi fai sapere
Di una nave che salpa
Verso questo mondo
Verso emozioni non ancora divenute
VII
Si spreme nell’inchiostro che porto
Sotto l’occhio bistrato della dama
In cerca di illuminante compagnia
Sotto la noia turchese del grande laqueare
Dalla cui architetturale trasparenza
I pilastri d’acciaio di sghembi mots d’esprit
Vellicano l’ombelico del cielo compassato
Da evanescenti geometrie di nubi
Si spreme come siero di meningi
Ordine del pensiero fino alla schietta
Schiera dei semplici e dei supplici
Non sapeva come d’un tratto
Non sapeva il soggetto distratto
Dall’eccessiva sudorazione della fonte
Non sapeva quale parte avesse sulla riva
Altro che pustole ed escrescenze
Nei cancri di ciò che si scompone
Di atomo in gene
Altro infine nell’altrimenti
Illuminata quiete dove è magnanima la gentilezza
Ed il mio arco doppio tendo
Che vi tiene tra l’estinzione e la salvezza
Attendetevi le mutazioni ed altro
Perché tardare non si debba
Al presente cui non volete
Profondità ma gioco di superficie
Senso per elezione di storia e gloria
Attendetevi le mutazioni inoltre
Non del corpo dell’encefalo della cistifellea
L’emozione non sarà quella che è stata
Estesa all’asse dei tempi e del mondo
Sarà l’eone di una primavera
Non per le figlie e i padri
Non in quest’idea di gregge
Che la vostra precessione di vacanti
Sacrifica ed ossecra
Non nell’osso dell’ossimoro
Dato ai cani di provetta sensibilità
Perché lo riportino al buon padrone
O al buon pastore che ne mangia lo sterco
Perché il marciapiede non si sporchi
Non in tutto ciò di caduta
Oltre nel turbine che sibila
Tra il vento e l’elettrone
Niente a paragone del nonnulla
Che si dà ai mancanti da moneta
Per ripagare la pena di esser nati
In virtù di possibilità concreta
Oltre ed altrove attraverso e ancora
Di nuovo il venturo
Ritorna e permane
VIII
Manca al compito di dire
Disatteso nel dolore
Che pietrifica le labbra alla ferita
Di chi è nato
Sopra il duplice abisso umano
In equilibrio che non sa
Manca a ciò che viene
Quest’ottuso senso del confine
Acume inverso piega di paragone
E nel venire meno appare
Non ti saprò sostituire
Per quanta utopia nelle culture
Si versi in bile e sangue
Finché alla sofferenza non sia tolto il grido
Che in un soffio dispensi la ferita
Un taumaturgo fiore
Non ti saprò sostituire
Nel tuo dover passare
Oltre la mente e il cuore
Nel perseguire la tua nube
Non altro cielo ti contiene
Che quello dove ti dissolvi
E pensa se il tuo mancare
Togliesse nel suo abisso
Tutto ciò che è convissuto
A te di luci e ombre
Di immagini persone gesti e cose
E pure il resto che ti ha concepito
Tale mancare ad altri
Che a te non sarebbe
Pensa questo abbaglio
Più nero del buio che pensi
Riempi pertanto il mondo di virtù
Guarisci nel presente che in te nasce
E di ciò che manca non ti curare
IX
Riguardati
Io mi riguardo e riguardiamoci
Riguardami mentre ho riguardo di te
Come la temperanza versa
Dalla brocca identica alla diversa
E viceversa ancora
Dentro ed oltre la natura
X
Adesso mi darai voce
E adesso sarai felice
Musa delle metamorfosi
Quando si mette a punto
Che occorre altro la convinzione
In opportuna situazione
E mentre si apre
Dalla colonna repubblicana
Un’aura di cielo turchese
Confutando l’obsoleta riproducibilità
Per mezzo dell’armonica verità
Di un gesto contemporaneo
Dei tuoi occhi e della mia mano
Adesso che hai voce vedi
Che abbiamo da andare là
A congiungere il dopo e il prima
La libertà e la terza rima
Dei miei occhi e della tua mano
XI
Terra che da un agiato estro
Hai intinto il mestruo delle tue paludi
Fino all’effimera essenza del presente
Quando vanno alla banda larga i vittoriali
Esposte le vergogne sui tacchi e gli stivali
Verrà un’onda nel suo tempo
Un’onda sommergerà le telecomunioni
Dell’enotriano agnello e dei suoi numerabili padroni
Come i nostri cuori supplici
Alle teste per vertebre cervicali
A discrimine di noi per beni e mali
Somiglianti nel decidere
Come i nostri cuori vuol rimanere
Questo vento di tenace gentilezza
Che incoraggia la vela e la carena