Un contributo CISAT di Giancarlo Carioti.
Partiamo da un paradosso! Quello cioè per cui gli attributi da rinviare alla scienza della psicoanalisi non siano riferibili solo a singoli soggetti nel corso di una vita, ma all’intero corpo sociale nel percorso delle epoche storiche. Ne verrebbe che concetti come l’Inconscio Collettivo di K. G. Jung acquisirebbero un’importanza centrale nella nostra ipotesi, estendendosi a tutti gli attributi dell’inconscio, nella misura di essere essi gli strumenti della valutatività e della qualità delle ere, desunte da comportamenti sociali medi riferiti per correlazione a tutte le categorie analitiche prese in questione. Ve ne sono due, in particolare, che illustrano ampliamente il senso delle cose che voglio affermare, riferite alla cogenza strutturale di problematiche affini di cui faremmo bene a prender nota. Si tratta delle categorie dell’Io e dell’Es qui viste come atteggiamenti anche antitetici che l’insieme delle relazioni pubbliche della società evidenziano, proprio nello spirito Freudiano per cui il grande maestro, folgorato da divine intuizioni, le coniò applicandole allo stato di potenziale nevrosi dei soggetti. Se l’Es rappresenta il primigenio, lo stato puro e naturale dell’uomo che tende, ferinemente ad assumersi l’uso anche coattivo delle risorse a disposizione, inducendo soventemente processi autoritari e dispotici; se l’Es è questo, l’Io, al contrario dispiega la maturità del carattere giunto ad equilibrio, su cui si costruisce, anche, un mondo di relazioni morali che, di per se stesse, mitigano la voracità dell’Es inducendo una tendenza moderata, da cui parrebbe venir fuori un compromesso, mai veramente riuscito fino in fondo, se è vero che resta ancora predace e protervo il modo di annettersi “potere” da parte di un Es pugnace e resistente che si oppone in pratica alla civiltà e che ribadisce la cieca volontà di annessione. Sarebbe così possibile riscrivere la storia in senso psicoanalitico, per verificare come questo Occidente, abbia da sempre perseverato nell’agnizione di una funesta prensilità. 5 secoli di capitalismo sono, da soli sufficienti a far capire come l’uomo di questa civiltà non sia riuscito a fuggire dalle tentazioni dispotiche più funeste, anche quando l’ethos occidentale rampognava soventemente con le sue filosofie e le sue religioni, al rispetto del reciproco, così come ad una petizione alla libertà etica che il corrusco rapporto quantitativo su cui si basa il capitalismo, ha sempre minimizzato, posponendo all’interesse morale ciò che, sempre Freud, definisce l’investimento sui genitali che null’altro è se non che l’imposizione compiuta dall’Es sulle componenti altre, che determina invero la crassa materialità del modello, tutto appiattito in una de – etica delle quantità, lì dove le qualità restano senza risposte esaustive, determinando quella crisi morale del sistema , su cui si consuma e si sfibra la tenuta etica del sociale. Che l’uomo sappia prevalentemente investire sul fallo, è la risposta fisiologica con cui l’individuo ha soventemente abdicato alla civiltà, finendo col diventare pellività animale in cui la misura del potere è nella estensibilità del membro, indice peraltro di una deteriore grossolanità con cui la materia erode lo spirito, facendo sì che essa perda ogni nobiltà, riducendosi a pura cosa, se è vero che i caratteri eminenti del Marxismo hanno rinviato al feticismo le responsabilità base con cui l’uomo moderno abdica alla qualità, diventando puro “prolungamento cosale” della merce, valutata mai in quanto valore, ma in quanto scambio plurimo, giacché il valore è stato ingoiato dalla tramoggia della produzione che lo ha mutato in profitto, espellendolo dalla stessa. Se l’Io – morale, aggiungerei potesse piegare le resistenze estreme di un Es che, ora, si inventa peraltro anche una scena primaria Edipica per cui restiamo avvinti nel gioco degli specchi della libido, se questo fosse possibile, l’Es dovrebbe ammorbidire i suoi strali ed ammettere le ragioni dell’Ego. Tenteremo di dimostrare che, per quanto la situazione appaia per certi versi disperante, pure abbiamo fondati motivi per credere che segni di mutazione sono presenti in questa società occidentale. Tra l’Io e l’Es vi è infatti una terza componente che la psicoanalisi si è abituata a definire del Super Io. Socialmente parlando, intendiamo per Super Io l’immanenza dell’Ego trascendentale, vale a dire di quella componente sintetica che è definita dal Sistema Sociale, nella misura di essere essa l’Ego sans phrase del modello socio – politico, su cui, vedremo meglio, noi in realtà investiamo come coacervo sintetico di tutti gli Ego singoli. Ciò che ne viene è che anche la categoria Cartesiana del cogito, poi ripresa da Kant sotto il nome di Io Penso, si sussume nella trascendentalità del modello comportamentale della società che deve, in quanto tale governare in qualche modo le compatibilità tra Io ed Es, inducendo quest’ultimo, ecco il punto, ad una moderazione CRESCENTE ed in pratica all’accettazione parziale delle motivazioni morali dell’Io. Ritengo che 1.000 anni di storia non siano passati invano, dal momento che, oggi, il così detto gradiente etico – la capacità sintetica del modello di crescere eticamente nel tempo – ci riserva segni anche sorprendenti, sia pur conflittuali, di crescenti livelli di qualità, frutto del paziente aggiustamento che l’Ego trascendente, e, per esso, il modello socio – sintetico, ha determinato all’interno di un movimento cinetico convulso, in cui emergono soggetti nuovi come le donne, ad esempio, oltre ad una polluzione esorbitante di bisogni “qualitativi”, su cui arretrano le forze della pura conservazione, producendo un garrito assordante di insubordinazioni, su cui concresce, è vero, il malessere, ma si ribadisce altresì la tendenza ingiuntiva dell’umanità a liberarsi dalla “preistoria” del mondo necessario, ricucendo materia a spirito, nella misura in cui, anche l’abilità quantitativa ha oramai valicato la misura del bisogno materiale, liberando nei soggetti petizioni squillanti, se non di civiltà, di anelito ad una libertà totale, su cui si misura il futuro dell’uomo del domani.
Giancarlo Carioti.