Un approccio all’uomo e all’artista Nikos Engonopoulos

Un approccio all’uomo e all’artista Nikos Engonopoulos

di

Maria Angela Cernigliaro Tsouroula

Nikos Engonopoulos (Atene 1907-1985) è un surrealista greco dal doppio  talento, pittorico e poetico, un fine cesellatore che esegue le sue opere con estrema cura e dovizia di particolari.

Engonopoulos, come lo ricordano alcuni i quali ebbero la fortuna di conoscerlo da vicino, era sempre molto elegante nell’aspetto: camicia bianca, cravatta a righe, giacca.  Con il suo viso fresco, capelli ben pettinati, occhiali rotondi, sorriso contenuto, non sembra affatto l’uomo che «ha creato tanto subbuglio nella società greca nel 1938, provocando uno dei maggiori scandali filologici delle letteratura neogreca»[1].

Ma procediamo con ordine.

La vita di Engonopoulos fu alquanto movimentata. Nato da una famiglia borghese, all’età di sette anni, si era trasferito a Costantinopoli per motivi di lavoro di suo padre e, successivamente (1923-1927),  aveva vissuto per cinque anni a Parigi, proprio nel periodo in cui le teorie di Freud avevano dato vita al movimento del surrealismo.

Ritornato in patria, si aspettava di venire accolto con entusiasmo dagli intellettuali dei circoli culturali ateniesi, a cui non vedeva l’ora di comunicare le nuove esperienze artistiche del surrealismo di cui si era arricchito a Parigi, esperienze che avrebbero potuto dare nuovo respiro alla cultura greca. Purtroppo non fu così. Ben presto, infatti, emersero gli aspetti spiacevoli del rientro. 

Quando pubblicò la sua prima antologia di poesie surrealiste, dall’intrigante titolo Μηνομιλειτεειςτονοδηγόν (Vietato parlare al conducente) e, l’anno successivo (1939), presentò la sua prima mostra personale di pittura, insieme alla sua seconda raccolta poetica Τακλειδοκύμβαλατηςσιωπής (Il clavicembalo del silenzio), si gridò addirittura allo scandalo da parte di intellettuali e concittadini i quali, essendo troppo “tradizionalisti”, non compresero il suo messaggio di rottura contro i vecchi schemi culturali, ormai obsoleti. 

Nonostante l’amarezza da cui fu indubbiamente pervaso, non solo non si perse d’animo, ma iniziò a lottare[2], in modo del tutto personale, contro l’atteggiamento bacchettone e miserabile dei suoi conterranei, rifugiandosi nell’arte e nella poesia a cui  si diede con totale impegno e tenacia.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, prestò servizio militare sul fronte dell’Albania (1940-41) dove venne fatto prigioniero dai tedeschi e detenuto in campo di lavoro nazista. Riuscì ad evadere e, al ritorno dal fronte, nel 1944, con i ricordi della guerra ancora vivi, scrisse e pubblicò un lungo poema popolare, Μπολιβάρ (Bolivar),  ispirato al grande rivoluzionario sudamericano. Ed il successo finalmente incominciò ad arridergli, forse perché tutti erano stanchi di vedere guerre, morti ed inutile spargimento di sangue.

Nel 1954, dopo aver partecipato a numerose mostre collettive, fu invitato a rappresentare la Grecia alla 27esima edizione della Biennale di Venezia, dedicata al surrealismo. I commenti positivi al suo operato iniziarono al suo ritorno da Venezia. Venne, infatti, nominato professore al Politecnico di Atene, mentre gli vennero attribuiti vari premi e riconoscimenti[3].

Comunque Engonopoulos non si lasciò incantare dalla fama e da tali tardi riconoscimenti ed, essendo molto sensibile, preferì vivere, per il resto della vita, tra i suoi quadri e i suoi versi, circondato da pochi veri amici.

Ciò che ci affascina in modo particolare nella sua opera pittorica e poetica, tra le molte altre cose, è il messaggio engonopuleo, secondo il quale un’opera d’arte nasce per confortare l’uomo, afflitto in alcuni momenti da un’insopportabile solitudine. Diamo la parola allo stesso artista:

Un’autentica opera d’arte deve consistere, e consiste, in una reale presenza umana,  vivente, veemente, indiscutibile, precisa, continuamente in attività e stimolante. Proposito dell’opera d’arte non è il nostro divertimento. Ci deve confortare. Necessaria la vigile e continua presenza dell’artista: essa va ricercata, con  essa occorre che venga in contatto lo spettatore, o l’ascoltatore. Non so se lo ammettiate. Comunque per me non ci sono correnti o scuole, non esistono tecniche in grado di sostituire la mancanza di tale presenza. […] . E da un altro punto di vista ritengo che la vera opera d’arte, la legittima opera d’arte, solo ed unicamente, deve essere fatta, come dicono gli abitanti delle isole Ionie, “con il sangue del cuore”[4].

Creare “con il sangue del cuore” fu un impegno a cui l’artista attenderà con scrupolo e passione nel corso dell’intera esistenza, tanto nelle arti figurative quanto nei componimenti poetici:

 

Amo i colori e le forme. Le loro armoniose sinfonie. Ed è questo ciò che voglio trascrivere anche nella poesia[5].

 

Benché nel percorso artistico engonopouleo non troveremo mai una “perfetta” coincidenza tra poesia e pittura, ci sembra utile sottolineare che i principali elementi ispiratori delle due arti sono gli stessi. Per ambedue, invero, Engonopoulos, mostrando una naturale disposizione alla ribellione che lo porta ad ignorare i cliché, attinge temi dalla cultura antica greca, da quella bizantina e post-bizantina, fino a varie tematiche moderne, esprimendo le sue istanze attraverso l’ambivalenza, l’allegoria, il simbolismo ed anche una forma d’humor liberatore. In altri termini, per lui il surrealismo è un mezzo, un modo per affermare la sua intransigenza, il suo carattere che non accetta compromessi con nessun formalismo, o tradizione standardizzata. Ecco perché dichiara di non aver mai aderito al Surrealismo come “scuola”, in quanto, secondo quanto ci confessa lui stesso:  «Ce l’avevo dentro di me.»[6]

Se e fino a che punto fosse surrealista, comunque, ci appare una questione oziosa, di scarsa importanza, rispetto a quella  che riguarda lo studio del suo modo di armonizzare, in modo del tutto personale, i vari  elementi di cui si serve per comporre poesie e pitture. Tali elementi vengono tratti non solo dalla cultura antica greca o bizantina e post-bizantina, ma da ogni luogo e tempo, fino all’epoca moderna, caratterizzata dal trionfo delle macchine e delle nuove tecnologie.

In gran parte delle sue opere pittoriche[7] e in versi si nota il ricorso al mito che per lui assurge ad una dimensione di tipo prettamente psicologico. Engonopoulos nomina o dipinge un personaggio mitologico che ha una forte carica simbolica di richiamo alla tradizione letteraria.  Ricorrendo alla fantasia surrealista,  lo inserisce in un nuovo contesto, spogliandolo gradualmente delle sue precipuità, accumulatesi nei secoli, e lo fa assurgere ad un nuovo ruolo in cui s’identifica psicologicamente. L’artista, ovvero, si proietta nell’ “altro” da sé, solo per parlare delle sue esperienze o per esprimere le sue paure, le sue problematizzazioni, autoironizzare, in breve, per raccontarci il suo modo di vedere le cose.  

Un esempio, tra i molti possibili, ci viene offerto nel componimento poetico dal titolo ΗεπιστροφήτηςΕυριδίκης (Il ritorno di Euridice).

Il poemetto inizia in modo tradizionale: scende la notte e con essa la quiete. Tuttavia, la notte ben presto si tramuta in un momento di sogno e di passioni che, sopite durante il giorno, riemergono con tutta la loro forza. Compare all’improvviso anche il Minotauro[8],

 

e non il Minotauro/quello noto/ma/un toro/con la testa/d’uomo[9]

 

accompagnato in processione dalle vergini. Il poeta dice di essere l’unico a piangere vedendo sfilare il corteo con il Minotauro in testa, destinato ad essere ucciso. Accanto al poeta c’è Euridice:

e c’è Euridice/Euridice che viene/e va/e RITORNA/per/dimorare/stabilmente/dentro/la terribile/ferita/delle mie/viscere/furiose/[…][10]

 

Euridice dimora dentro il poeta anche per dare giustizia ad un vaticinio che aveva destinato  che lui fosse un novello

 

Orfeo/alto/sottile/ed immortale/uscito dal/largo petto/di Ermete/Trismeghisto […][11]

 

In questo poesia, il riferimento al Minotauro attiva subito in noi il noto racconto mitico ed il suo simbolismo. Poiché, però, il Minotauro è  accompagnato da Euridice e dallo stesso poeta, -che si identifica con Orfeo, e si sente figlio di Ermete-  siamo indirizzati verso altre interpretazioni strettamente connesse alla psicanalisi. Il Minotauro, suggestiva rappresentazione del male che alberga in ognuno di noi, con il suo sangue genera vita e prosperità e scaccia via il negativo temuto tanto nel passato quanto nel presente. Il toro rappresenta, forse, la nostra stessa immagine al negativo, l’alter ego malefico di ciascuno di noi, però pure le passioni che ci guidano e che solo la morte può spegnere. Dunque, il poeta piange pensando che le sue passioni moriranno insieme a lui. A confortarlo, tuttavia, c’è Euridice, simbolo della poesia che vince la morte.

In tale personale interpretazione del mito viene coinvolto anche Ermete Trismeghisto.

Engonopoulos ha un debole per il dio Ermete che identifica con il modus vivendi greco. Protettore del commercio, come pure di ogni tipo di astuzie e truffe, portatore di sonno, accompagnatore delle anime dei defunti nell’oltretomba, custode dei disorientati, dei vagabondi e dei viandanti, con l’aiuto dei sandali alati, è sempre presente a tutti gli “episodi d’intreccio” della mitologia greca[12].

Il poema si svolge a mo’ di processione tragica, una litania che, da funebre, si trasforma in un corteo nel quale trionfa la speranza della vittoria sulla morte in virtù del sogno e della poesia.

Accanto ad Euridice, spesso nelle pitture e nei versi, compare Orfeo. In quanto a quest’ultimo, tracce del mito scorgiamo nei bellissimi versi della poesia ΟΟρφεύς (Orfeo), in cui l’eroe appare sconsolato dalla definitiva perdita di Euridice: nemmeno le dolci note musicali o le nuvolette soffici riescono a confortarlo della grave scomparsa. Anzi le nuvolette soffici,  del tutto simili a quelle che dipinge Engonopoulos, si trasformano in affilate lame con cui viene colpito e fatto a pezzi dalle vergini della Tracia:  

 

Orfeo mai- ma mai- niente riuscì a confortarlo

per la doppia perdita di Euridice:

una volta –per poco- cantava qualche melodia nel suo struggimento

un’altra –di nuovo per poco-

i colori

lo affascinavano

con le infinite pennellate

e con le casuali

combinazioni di ogni sorta

 

una volta – verso il

tramonto-

notò nel cielo azzurro

incantevoli file di

nuvole

– per le quali a Kavouri un tempo un gendarme

come un pentito esclamò:

«Ecco le nuvole di Engonopoulo!»-

 

ma quelle-in effetti-

non erano le nuvole di Engonopoulos

erano coltelli

lame

affilati pugnali e scimitarre

che sul loro vestito

brandivano

le inflessibili vergini di Tracia

 

e scuotendoli

le dure vergini con le impietose mani

con quelle-dico- s’abbatterono su di lui:

lo dilaniarono

lo fecero a pezzi

Orfeo[13]

 

Evidente il simbolismo e l’autoreferenzialità. Alla pari d’Orfeo, infatti, anche Engonopoulos venne dilaniato da intellettuali assatanati che usavano le sue innoque nuvolette, la sua arte, a mo’ di coltelli, lame, affilati pugnali e scimitarre per colpirlo e distruggerlo!

In una delle più note versioni pittoriche del mito engonopuleo, Orfeo, Euridice ed Ermete (1949) sono raffigurati di nuovo insieme in modo quasi teatrale (foto in chiusura).

 

Oltre ad Euridice, il cui nome appartiene alla mitologia e funziona da archetipo, sia nella produzione poetica che in quella pittorica engonopulea, compaiono spesso figure femminili ispiratrici di eros ed arte.

Engonopoulos “adora” i corpi femminili[14]. Di solito le sue donne sono giovani, belle, sensuali hanno capelli lunghi, e seno prorompente e, nei suoi quadri, appaiono nude o vestite con abiti molto ricchi e ricercati. Leggiamo pure alcuni versi della poesia ϓμνοςΔοξαστικόςγιατιςγυναίκεςπουαγαπούμε (Ιnno in lode delle donne che amiamo):

 

Le donne che amiamo sono come melograno

vengono a trovarci

di notte

quando piove

con il loro seno annullano la nostra solitudine

entrano in profondità nei nostri capelli

e li adornano

come lacrime

come rive luminose

come melograne[15]

 

Un esempio di donna ispiratrice di poesia è rintracciabile nei bellissimi versi di Ελεωνόρα (Eleonora). Il componimento poetico è diviso in due parti. La seconda parte della poesia culmina nei seguenti versi:

forse ancora/è/in parte pino/e in parte/ascensore[16]

 

La parola “pino” ci fa pensare ad un albero che è simbolo di stabilità, costanza, ed anche, in quanto sempreverde, d’immortalità, oltre a significare fertilità in virtù del suo caratteristico fogliame. Nelle leggende greche, tuttavia, appare in qualità di albero sacrificale, l’albero del supplizio iniziatico, e nel cristianesimo il pino rimanda al legno di cui era fatta la Croce di Cristo. Dunque la donna è in parte gioia e dolore, e in parte un “ascensore” che ti permette di salire verso l’alto, (verso la poesia e l’arte e in generale innalzarti ad un pensiero superiore), ma  può anche farti precipitare verso il basso (verso il dolore, la sofferenza).

 

Argomento altrettanto centrale nella poesia e nella pittura di Engonopoulos è quello della “spada” per conquistare il bene supremo: la libertà.

Nel 1944, Engonopoulos scrive un poema considerato il suo capolavoro poetico  che ci riporta all’epos eroico, dal titolo Μπολιβάρ (Bolivar), un  vero e proprio inno, un grido[17] alla libertà, incentrato sulla figura di Simon Bolivar, colui che combattè con coraggio, simile ad un leone, in nome dell’indipendenza sudamericana. Engonopoulos, seguendo la sua originale tecnica poetica, con la sua fantasia surrealista, lo sposta nella sua epoca e nei luoghi della grecità, in modo da farlo divenire un simbolo universale della lotta che ogni uomo deve affrontare per conquistare la libertà. Anzi, per farlo diventare più familiare ai suoi concittadini lo accosta ad Odisseo Androuzos, un eroe dell’indipendenza greca dai turchi,  di cui promette di parlare più diffusamente in altra occasione.   Eppure, a ben vedere, il riferimento a Bolivar è ancora una volta autoreferenziale: in lui vengono sì rappresentati tutti gli eroi, al di là del tempo, del luogo o della nazionalità e, fra essi, il poeta si riconosce come uno di loro, in mezzo a loro:

 

E ora dovrei disperarmi se fino ad oggi non mi ha com-

                      preso, non ha voluto, non ha potuto com-

                                            prendere cosa dico, alcuno?

La stessa sorte avranno anche le cose che dico ora

[…]

 

Indifferenza, la mia voce era destinata solo per

                                                                      i secoli

[…]

Fino al momento in cui la terra inizierà a girare

         vuota, e inutile, e morta, nel firmamento,

I giovani si sveglieranno, con precisione matematica, le terribili

                                                                          notti, sul loro giaciglio

                              per bagnare di lacrime il loro guanciale, riflet-

                                                                  tendo su chi fossi, pensan-

                                do che un tempo vissi, che parole dissi, che inni cantai [..]

 

Il continuo cambiamento di piani tra soggetto e oggetto culmina nella perfetta identificazione del verso finale:

 

Una sola cosa è nota, che sono figlio tuo

 

e nella collocazione di entrambi tra coloro che

 

sono restati nei secoli sempre soli, e liberi, grandi,

                  generosi e forti.[18]

 

Il poema Bolivar va letto, invero, come metafora e descrizione del processo di trasposizione da un mondo all’altro, si direbbe una specie di ponte che unisce culture diverse, soprattutto perché, in virtù di ciò che ci spiega il poeta[19], ricalcando una massima socratica, “essere greco non è questione d’origine, quanto d’educazione”.

In conclusione, dunque, è la “grecità” l’elemento chiave atto a connotare l’arte di Engonopoulos. Ma “essere greco” per lui cosa significa? Significa, alla stregua dei suoi avi,  mettere l’uomo, in qualunque modo si chiami, Ulisse o Bolivar, al centro dell’universo, un uomo che ama la libertà e la vita[20]. In base a tale visione antropocentrica, un eroe -o una coppia mitologica- serve a richiamare in noi archetipi pregni di significato e portatori di valori eterni, ieri come oggi.

Nell’opera di Engonopoulos, il ricorso alla tradizione, tuttavia, lungi dal costituire una pedissequa copia del passato, si ammanta, di nuovo lustro, diventa un mondo nuovo, tutto da ri-scoprire. In quest’ ottica, l’arte costituisce un balsamo il cui fine è quello di rimuovere i traumi e confortare l’uomo dalle miserie che lo circondano, riconciliandolo con il mondo. Solo la bellezza della creazione artistica, alla fine, trionferà, sconfiggendo le miserie umane e perfino la morte.

 

Bibliografia utilizzata nel presente studio

Νίκος Εγγονόπουλος,  Ποιήματα, Ικαρος, Αθήνα 1993

Νίκος Εγγονόπουλος,  Στη κοιλάδα με τους ροδώνες,  Ικαρος, Αθήνα 1978

Νίκος Εγγονόπουλος, Πεζά κείμενα, Ύψιλον, Αθήνα 1987

Νίκος Εγγονόπουλος , Oι άγγελοι στον παράδεισο μιλούν ελληνικά… (συνεντεύξεις, σχόλια και γνώμες), σε επιμ. Γιώργου Κεντρωτή, Ύψιλον, Αθήνα 1999

Περπινιώτη-Αγκαζίρ Κατερίνα, Νίκος Εγγονόπουλος. Ο ζωγραφικός του κόσμος, Μουσείο    

Μπενάκη, Αθήνα 2007

[Συλλογικό], Εισαγωγή στην Ποίηση του Εγγονόπουλου, Επιλογή κριτικών κειμένων, επιμ.: Αμπατζοπούλου Φ., Ηράκλειο: Πανεπιστημιακές Εκδόσεις Κρήτης, 2008
[Συλλογικό], Νίκος Εγγονόπουλος. Ο ζωγράφος και ο ποιητής. Πρακτικά Συνεδρίου. Παρασκευή 23 και Σάββατο 24 Νοεμβρίου 2007, Αθήνα: Μουσείο Μπενάκη, Εθνικό Κέντρο Βιβλίου, 2010

«Επτά ημέρες», Η Καθημερινή: «Νίκος  Εγγονόπουλος, ο ζωγράφος και ο ποιητής», 25 Μαïου 1997

«Επτά ημέρες», Η Καθημερινή: «Ελληνικό υπερρεαλισμό», 7 Ιουλίου 2002

«Ημερολόγιο 2007: Ο ποιητής Νίκος Εγγονόπουλος», επιμέλεια: Θανάσης Χατζόπουλος, Ύψιλον, Αθήνα 2006

 

 

 

 

 

 



[1]Σ. Ζαφειρίου, Ιδού τα σύννεφα του Εγγονόπουλου, «Ημερολόγιο 2007: Ο ποιητής Νίκος Εγγονόπουλος», επιμέλεια: Θανάσης Χατζόπουλος Aθηνα, Ύψιλον 2006, p. 289

[2] Engonopoulos stesso confessa: «Tuttavia questa amarezza aumenta la mia resistenza e la voglia di lottare», [A. Μυστακκίδης, Με τον ζωγράφο κ. Νίκο Εγγονόπουλο, in Ν. Εγγονόπουλος, Oι άγγελοι στον παράδεισο μιλούν ελληνικά, (συνεντεύξεις, σχόλια και γνώμες), σε επιμ. Γιώργου Κεντρωτή, Aθηνα, Ύψιλον 1999, p. 23]

[3] Nel 1958 gli fu attribuito  il Primo Premio Nazionale di Poesia dal Ministero della pubblica istruzione per la raccolta poetica ΕνΑνθηρώΈλληνιΛόγω (In greco fiorente), mentre nel 1966 fu premiato per la sua opera pittorica dal re Costantino II con la medaglia della Croce d’oro di Giorgio I. Il premio nazionale di poesia gli sarà conferito per la seconda volta nel 1979.

[4] Ν. Εγγονόπουλος, Πεζά κείμενα, Αθήνα,  Ύψιλον 1987, p. 39

[5]  Ν. Εγγονόπουλος, Oι άγγελοι στον παράδεισο μιλούν ελληνικά…, cit., p. 103

 

[6]Β. Σπηλιάδη, Τραχύτατος και τρυφερός βράχος της πνευματικής ζωής, in: Ν. Εγγονόπουλος, Oι άγγελοι στον παράδεισο μιλούν ελληνικά…, cit., p. 96

[7] Non a caso le figure umane nelle sue pitture sono sempre prive di volto di modo che “ognuno” può, se vuole, metterci il suo o qualunque altro al suo posto. Solo i suoi “eroi” –poeti, liberatori, soldati, intellettuali, ecc.- compaiono sotto il loro preciso aspetto, quello tramandato dalla tradizione.

[8] Si ricordi che il Minotauro era uno dei simboli dei surrealisti. C’era anche una rivista dal nome Minotaure  stampata dall’editore svizzero Albert Skira (19031973) in associazione con il greco Tériade (18971983), a Parigi dal 1933al 1939 per 13 numeri. Si tratta di una delle più importanti riviste d’arte contemporanea d’ispirazione surrealista, voluta da André Breton per ospitare testi teorici, poesie e immagini del movimento d’avanguardia da lui promosso.

[9] Ν. Εγγονόπουλος,  Ποιήματα: Η επιστροφή των πουλιών, Αθήνα, Ικαρος 1993,  pp. 180-189

[10] ibidem

[11] ibidem

10 Ν. Λοïζήδη, O Ερμής εν αναμονή, in: «Επτά ημέρες», Η Καθημερινή: «Νίκος  Εγγονόπουλος, ο ζωγράφος και ο ποιητής», 25 Μαïου 1997, pp. 19-21

 

[13]Ν. Εγγονόπουλος,  Στη κοιλάδα με τους ροδώνες, Αθήνα, Ικαρος 1978, p. 126 e p. 129

[14]Ν. Εγγονόπουλος, Oι άγγελοι στον παράδεισο μιλούν ελληνικά…, cit.,p. 192

[15]Ν. Εγγονόπουλος,  Ποιήματα: ΕΛΕΥΣΗ, cit., pp. 266-270

[16]Ν. Εγγονόπουλος, Ποιήματα: Μην ομιλείτε εις τον οδηγόν, pp. 41-44

[17] Κ. Παράσχος, Μπολιβαρ, in: [Συλλογικό], Εισαγωγή στην Ποίηση του Εγγονόπουλου, Επιλογή κριτικών κειμένων, επιμ.: Φ.Αμπατζοπούλου, Ηράκλειο: Πανεπιστημιακές Εκδόσεις Κρήτης, 2008,  p. 29

[18] Ν. Εγγονόπουλος, Ποιήματα: Μπολιβάρ, cit.,  pp. 143-157

[19] Ν. Εγγονόπουλος,  Ποιήματα: Σημειώσεις, cit., p. 346

[20] Engonopoulos ritiene che l’amore per la vita non sia una questione d’età, quanto di pathos. Ed è per questo che divide le persone in “morti e vivi” e ricorda un verso di un poeta greco, Roidis, con il quale è perfettamente d’accordo allorché recita: “Rispetto i morti, anche se sono vivi”. In quanto, secondo lui, intorno a noi circolano tanti morti viventi! Morti al 100%! [Γ. Λιάνη, Συνέντευξη με τον Νίκο Εγγονόπουλο, in: Ν. Εγγονόπουλος, Oι άγγελοι στον παράδεισο μιλούν ελληνικά, cit., p. 119]

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