Seduta sui gradini della chiesa e col viso rivolto all’insù mi godo i raggi del primo sole di primavera. Mi aggiusto la gonna sulle ginocchia, perché gli sguardi indiscreti non oltrepassino i limiti che l’educazione m’impone.
Il freddo della pietra rende scomoda la mia permanenza e aspetto paziente che i fedeli escano dopo la messa. Gli incensi e i fiori mi creano uno stato di smarrimento, come d’ improvvisa e leggera ubriacatura. Profumi ed effluvi che non mi sono abituali, m’ infastidiscono, creano all’improvviso un’intimità e un coinvolgimento che non ho cercato. Visi rugosi e sentori di sapone di bucato aleggiano nell’aria. Il canto devoto, le candele appena accese, mazzolini di campo offerti con umili inchini, mostrano uno spettacolo a me sconosciuto.
Ho quasi imbarazzo per la loro devozione infantile. Preferisco i gradini.
La piazza è rivestita del suo abito migliore; bar all’aperto, uomini in scuro, alcuni in piedi, l’aspetto serio, capannelli di pochi, chiacchiere discrete con l’aria di chi compie un lavoro impegnato. Io là, mentre sbircio non vista e tutto ha il sapore dell’arena in cui si compiono giochi e si tramano vite. Cerco un’ispirazione, segni e emozioni che mi suggeriscano storie, guardo non vista, vogliosa, rubo dettagli in ogni angolo della città di pescatori che si arrampica tra stradine e angoli impervi. La luce mi acceca.
Penso al mio desiderio improvviso di partire e cercare un angolo mio. Lontana dai turbinii che hanno avvolto la mia vita in questi ultimi anni.
La casa, costruita almeno cento anni fa in pietra viva, si affaccia sul piccolo golfo in cui il mare s’inoltra indiscreto, blu, scagliandosi a volte sugli scogli neri consumati, odorosi di alghe scure insolenti corpose. E’ all’improvviso, quando tutto sembra calmo e dormiente, che l’onda s’infrange schiumosa. Metafora dell’ imprevedibilità della vita. Gli schizzi arrivano fino a me sul piccolo balcone con la ringhiera mangiata dal sole. Con la mano o con la lingua mi pulisco la bocca bagnata di gocce salate. Me lo gusto questo momento in cui non vista, sorrido a me stessa; beata, dico che posso godermi tutto questo. Grazie. Grazie mare che mi regali lo spettacolo che si ripete generoso, che non chiede nulla in cambio. Sotto l’ombrellone di tela bianca e azzurra macchiato dalla salsedine rimango seduta a lungo, scrivo, bevo un bicchiere di latte di mandorla gelato, penso soprattutto, mentre la nostalgia mi avvinghia. Ammiro rapita lo spettacolo della natura che so ripetersi da sempre.
La storia viene e scorre, e quando ispirata cerco la pace, i personaggi fluiscono dalla mia mente al computer che fedele m’ accompagna da tempo.
“Signora signora…”
Salto all’improvviso quando si affaccia alla porta che ormai non chiudo più.
“Le ho portato i limoni, mi sono permesso”.
La coppola calata sugli occhi, una faccia insolente, mi abbasso leggermente per guardarlo meglio in viso. Non lo conosco. Con un gesto studiato, teatrale si toglie il cappello e si presenta. Le ciglia ricurve sugli occhi corvini mi sorprendono.
“Sa” dice “ sono il nipote di Don Ciccio. La vedo passeggiare a volte, sappiamo che è qua per scrivere, io sa… io non volevo disturbarla…”
Così tra una scusa e l’altra non finisce più di parlare; lo guardo sorridendo perché la sua sfacciataggine mi diverte. Incrocio le braccia sotto il petto, attenta a non dargli troppa confidenza.
“Accetto volentieri” gli dico mentre afferro la cesta, sapendo di non poter fare altrimenti.
Il profumo m’inebria e i frutti sono sapientemente disposti nel cesto con le loro foglie adagiate sopra, in un atto di omaggio antico.
“E’ bello il nostro mare vero signora?” mentre accenna ad uno sguardo che si spinge lontano.
“Sì” rispondo mentre mi giro a guardarlo “Bello davvero”.
“Lei è qua per scrivere no ?” Mentre mi pianta gli occhi addosso.
“Si” rispondo “e questo mare m’ispira “ Sono un poco severa.
“Ha ragione” dice con aria complice. “Noi siamo abituati ma lei…”
Si calza la coppola sugli occhi che intravedo appena.
“Sa a volte sono venuti dei pittori famosi qui, proprio in questa casa. E’ la casa di uno zio. Zio di mia madre, lui vuole sempre conoscere i suoi inquilini. Perché sa com’è, va a simpatia. Se non gli piacciono…”
Ignoro tutto ciò perché l’agenzia ha provveduto al contratto che comunque sarà di tre mesi. “Che storia sta scrivendo se posso sapere”.
“Ho appena cominciato. Sono alle prime battute. In effetti qui cerco l’ispirazione.”
Mi guarda curioso con un mezzo sorriso e vuole sapere.
“Sa è meglio che non dica molto” continuo “perché poi la storia si sciupa”.
“Come vuole lei” dice “Arrivederci, qualsiasi cosa avesse bisogno…” E arretra all’indietro
mentre saluta. Se ne va e non conosco nemmeno il suo nome. Vorrei richiamarlo. Resto ferma ancora seduta, quando decido di chiudere il computer orami distratta e fare due passi. Per oggi non aggiungo altro. C’è un uliveto che degrada verso il mare, alcuni pezzi di tronchi tagliati e ammucchiati mi permettono di sedermi e rimanere a pensare.
Ho portato con me penna e taccuino, ma oggi non è giornata.
All’orizzonte scorgo una barca, sarà da turismo, troppo lontana per saperne di più.
Il silenzio, la pace, la calma, sono elementi a cui ti devi abituare dopo la confusione della vita disordinata della città. Le foglie sono colorate di verdi diversi e fanno un gioco di chiaroscuro mentre li osservo pensosa. La mia valigia fatta di poche cose dichiara il mio modo di stare qua e che cercavo da tempo. Gonne lunghe di cotone, di colore chiaro, comode. Canotte leggere. Nessun gioiello. Raccolgo conchiglie che lego al collo con piccoli spaghi. Le scarpe di tela, sandali, mi fanno sentire meglio il contatto con la terra.
Quando la giornata è più calda scendo al mare e con i piedi nell’acqua resto a pensare seduta guardando all’orizzonte e stringendomi le gambe con le braccia. Respiro col mare, seguo il ritmo delle onde, odoro i suoi profumi, aspetto che il vento s’ infili nei miei capelli senza piega. Uso uno scialle per proteggere le spalle quando il sole si nasconde. Ascolto i miei pensieri, cerco la luce delle stelle sul piccolo balcone, di notte, quando si fa scuro. Accendo una candela e chiedo agli spiriti buoni di accompagnare i miei sogni.
Le lenzuola di lino ruvido mi avvolgono per farmi sentire protetta e sicura anche lontano da casa. I fantasmi della mia vita si affacciano prepotenti. Li caccio e li voglio, li amo e li odio. Nel groviglio incessante dei fantasmi che mi osservano mi addormento a volte sfinita. Percorro strade, viaggio per il mondo, sogno angoli inesplorati, resto da sola o in compagnia. M’invento una felicità improvvisa, mi commuovo se posso, mi racconto le storie. Creo la mia vita di nuovo. Quando riapro gli occhi, il sole è già alto.
“Sono io, signora” Si toglie come sempre la coppola in segno di rispetto.
“Oh, buongiorno come va?…”.
“Bene, sa volevo sapere se ha bisogno di qualcosa e poi invitarla a pranzo da noi domenica; lo zio vuole conoscerla”. Ride soddisfatto, come dire che era prevedibile tutto questo protocollo.
Penso infastidita che non sono venuta qua per fare vita sociale e so anche che purtroppo e mio malgrado sono obbligata ad accettare. “Va bene, grazie. Non so però dove si trova la casa” rispondo.
Sperando che questa sia una condizione che davvero m’ impedirà di accettare.
“La vengo a prendere io” risponde gentile. Si susseguono i giorni, uguali e semplici. Resto tranquilla facendo passeggiate e restando in uno stato d’ ispirazione e benessere.
E’ domenica. “Buongiorno”. Oggi ha il vestito della festa, i capelli lucidi pettinati all’indietro con la gelatina, tiene la sua coppola in mano. La camicia bianca profuma di bucato e le maniche sono arrotolate fin sul gomito.
Non so dargli l’età, la pelle abbronzata, le mani forti di chi lavora sodo, è giovane comunque, si vede. “Se vuole possiamo andare”.
Così mi accompagna e facciamo un piccolo tratto a piedi camminando vicini prima di poter raggiungere la sua macchina. “E’ vecchia sa mi scusi”, mentre mi apre (gesto raro penso in città) lo sportello. “ Per qua va bene, si rovina tutto subito, con queste strade e la salsedine…”
“Va benissimo” dichiaro tranquillizzandolo. E mi avvio con questo sconosciuto in mezzo alla campagna, mentre la macchina saltella sul viottolo di campagna, quando con la vista del mare in lontananza appare la casa. Grande, bianca, maestosa, ormai in rovina. Rimane seduto, gli occhi di brace, il bastone di legno tra le mani nodose: “Volevo conoscerla”. Mi aspettava. Sono affascinata dalla voce, lo sguardo. Vibra tutto intorno a lui.“Mi avevano detto che era una bella donna, noi qui diciamo una “bedda femmina”, e comunque è meglio, ma molto meglio di persona.” Incomincia così senza preamboli, sicuro del suo potere di maschio e anche siculo. Divento rossa, non vista, perché sono passata dalla luce intensa esterna all’oscurità della casa. “Si accomodi, prego e mi racconti.“ Mi dice ossequioso, mentre io incedo imbarazzata come una scolaretta. Rimane seduto nella grande poltrona, con le mani sul bastone che è solidamente puntato sul pavimento di pietra, e mi guarda senza mezzi termini. Sono intimidita da tanta forza, seduta accanto a lui nella poltrona gemella. Incomincio a parlare e tutto intanto mi ricorda il fascino di vecchi racconti, atmosfere da Gattopardo, antichi splendori e casati, masserie e antiche vestigia in rovina.
Il nipote rimane in silenzio appoggiato in un angolo della stanza in piedi e mi guarda non visto, finché lo zio severo comanda:
“Siediti, che fai là scemunito, vuoi crescere?”
Parliamo a tavola della terra che amo, della storia della sua famiglia. Dei “forestieri” come li chiama lui che vengono dal continente. Vuol sapere di me, la voce ancora più roca e indaga invadente nella mia vita mentre mi scruta.
Le donne indaffarate preparano in cucina, mentre i profumi sono avvolgenti e densi.
“Prego mangi, non faccia complimenti per favore, questo pane è stato fatto stanotte. L’abbiamo fatto per lei. ”E mi porge con le sue mani forti un pezzo di pane croccante che strappa dalla pagnotta intera. Il nipote gentile mi versa il vino rosso denso nel grosso bicchiere da acqua e approfitta per starmi ancora più vicino. Pomodori secchi appassiti sul muretto di fronte alla casa, olive, acciughe, e pasta fatta a mano. Mentre il vecchio guarda all’improvviso pensoso nel suo piatto e dice con la voce ancora più bassa: “La vuole scrivere una bella storia signora? Una storia d’amore?”
Rimango in attesa e non mi sbilancio. “Sa, deve sapere che abbiamo da queste parti davvero una…diciamo leggenda…. qua proprio qua tra queste terre, che si tramanda di padre in figlio”. Racconta e la voce si fa più calda. “E’ la storia, non si sa, forse chissà, è inventata, non si sa veramente”, e lo dice mentre sembra parlare tra sé e sé. “sa era una contessa, una mia antenata. Lui un contadino che lavorava la sua terra. “Una bella storia maledetta” continua con quella voce roca e lo sguardo lucido. “Si sono amati di nascosto finché lei non si è ammalata per amore, si dice, certo, sempre si dice che sia morta di dolore”. Sembrava che l’avessero mandata lontana per curarsi. Ma io lo so, perché nel fienile il coltello era avvolto da un panno di velluto rosso. E sulla scarpata tra i sassi sotto gli ulivi abbiamo trovato il corpo di lei. Sicuro che era lei, con quella croce al collo, che si vedeva nel quadro. Era bella, anzi bellissima si diceva. Gli aveva fatto pure la tomba quel disgraziato di marito. A tutti e due li ha ammazzati. E’ una storia che si racconta almeno…almeno da duecento anni e che si arricchisce di particolari ogni volta di più. La vedono (dicono) a volte tra gli ulivi di una masseria abbandonata nelle notti di luna piena. Lei canta una ninna nanna siciliana:…. E la notte di Natale, San Giuseppe n’avia a che fare…. Racconta agitando la mano destra in alto “Sa, signora bella, come di certo lei sa, questa terra, è terra di passioni, gli uomini qui sono uomini. Non so se m’ intende bene.” Un brivido mi scorre dalla nuca ai calcagni passando per la schiena. Sono colpita dal peso che dà alle parole, dalle pause. Dall’intenzione nascosta che colgo all’istante. Mi emoziona. Un attore nato, lui innamorato della nobildonna.“Ci penso comunque, può essere un’idea. Mi piacciono le storie d’amore”. Gli prometto quasi come svegliandomi da un sogno. L’incontro inusuale, il pasto consumato in compagnia, dopo giorni di cercata solitudine, mi lascia addosso una sensazione di mistero e di sentimenti, passioni e intrighi maledetti. Lascio a malincuore la casa e lui. Il vecchio. Lo saluto mentre la sua mano calda e rugosa mi trasmette affetto, complicità, sento che mi trattiene, chiede senza parole di tornare e anche io, guardandolo intensamente, prometto in silenzio e solo con lo sguardo che sarà così. Il ragazzo mi accompagna a casa quando la notte è oramai scura. La macchina s’ inerpica a fatica tra sassi e viottoli improvvisati. Si ferma accanto ad un muretto e la luna piena illumina un punto che mi indica. “E’ qua che la vediamo a volte”. Dice “In quel punto e indica un posto più lontano” e si avvicina. Sento l’odore dei limoni e di tabacco addosso a lui.
“Se aspettiamo e siamo fortunati forse la vediamo una sera di queste…forse stasera”.
Mi cerca con lo sguardo e immagino mentre il fruscio della camicia inamidata mi coinvolge, il contadino amante, le notti di luna piena, il rumore del mare, gli aranci in fiore. Mi lascia sulla porta e non ci salutiamo nemmeno. Corro in casa e mi affaccio per godermi lo spettacolo della notte un po’ fredda. Mi rassicuro, scappo dagli amori appassionati, proibiti, dalle leggende, amplessi ormai invisibili. Non resisto: ora scriverò di lei e del suo amore, già lo faccio e le parole scorrono e le lacrime anche. Accendo la candela perché la fiamma illumini e ispiri il racconto che arriva improvviso. “Contessa triste e innamorata che appari a chi ti sogna ancora. Ti vedo, nobile e fiera, ti ridò la vita. Io. Ora. Ti muoverai tra le pagine del mio diario segreto, lontana dagli intrighi volgari. Tu, che per non deludere, appari non vista e tormentata ancora, in cerca dell’amore tuo proibito.”
Anima celeste
Che vaghi leggera
Fantasmi inediti
Tra gli ulivi amati
Tormentati intrighi
Nella notte buia
Raccontaci ancora
La speranza della vita
Eterna illusione
Degli amori
Forse
Mai vissuti
Scrivo per te anche Don, perché tu possa rivivere i tuoi tormentati amori, quelli che io ho già intuito, per renderti nobile quando parlerai di lei. E appassionato della vita mi racconterai, ancora, delle tue leggende antiche.