Parmalat e falso in bilancio: governance e capitalismo
Gli scandali Parmalat e Cirio ripropongono il problema della Governance del capitalismo. Ma l’Italia ha sue specificità riguardanti il sistema dei controlli, anche penali, e l’etica negli affari. Problemi che la legge Draghi non ha risolto. Riguardo al primo punto, il caso Parmalat è esemplare. I conti non tornano perché mancano 7 miliardi di Euro, 14 mila miliardi di vecchie lire, che significa lo sconquasso più grande dopo i casi Ambrosiano ed Enimont. Eppure nessuno sa niente.
Nessuno è responsabile. Capita come per i terremoti, che almeno in parte, si possono prevedere. Sembra tutto tranquillo, la borsa tira, i proprietari o quelli che vengono accreditati come tali, mostrano sicurezza e sono considerati benefattori, i lavoratori timbrano il cartellino e magari pensano di lasciare il posto al figlio quando vanno in pensione, i piccoli risparmiatori fanno il conto dei guadagni e pensano ai problemi familiari che possono risolvere e, poi, all’improvviso, la televisione annuncia il crac. Insomma, nessuno si accorge di quanto sta per accadere, nemmeno se il direttore finanziario, cervello di tutte le operazioni lecite e illecite, un bel giorno scompare. Non si accorgono di nulla il consiglio di amministrazione, i sindaci revisori, le società di certificazione, le banche esposte per migliaia di miliardi, la Consob, la vigilanza di Bankitalia. Il governo poi, non ne parliamo: li ci sono esperti di bilanci truccati, di fondi neri, di paradisi fiscali.
Ma hanno teorizzato il “ fai da te” e degli affari degli altri, che poi sono anche quelli del paese, si occupano solo quando possono produrre qualche vantaggio, non al paese, ma a loro. E poi, colgono l’occasione per regolare i conti con Fazio perché da qualche tempo, quasi fosse il solo, critica il governo. In realtà, qualcuno che sa c’è, ma sta alle isole Cayman, noto paradiso fiscale, regno, come gli altri, della finanza opaca e sporca, dove sono sufficienti una stanza, un tavolo e un computer per fabbricare miliardi di euro di documenti falsi. A questo punto bisognerebbe almeno capire perché i controlli non funzionano e cosa bisogna fare per evitare altri disastri. E’ chiaro che gli strumenti a disposizione della Consob e della Vigilanza di Bankitalia non sono efficaci. Che l’apertura di banche , banchette e finanziarie, nei paradisi fiscali, costituisce quasi sempre il viatico per operazioni illegali. Almeno questo è chiaro perché i fatti si ripetono. Ma è anche chiaro che la deterrenza non funziona perché con la depenalizzazione del reato di falso in bilancio, la repressione non è possibile. Infatti, far sparire 15 mila miliardi e rubare in supermercato, è la stessa cosa: le conseguenze non sono molto diverse. Il governo per cancellare un po’ di processi di Berlusconi, ha lasciato i falsi e ha cancellato il reato, dando la stura alla irresponsabilità più totale.
In America, dopo gli scandali delle grandi corporations, è andato a casa il capo della vigilanza sulla borsa; il procuratore generale di New York, Eliot Spitzer, ha avuto le mani libere; hanno tolto la licenza alla Arthur Andersen, la più grande e potente società di certificazione di bilanci del mondo; il Congresso ha approvato una legge che per il conflitto di interesse e il falso in bilancio prevede fino a 25 anni di carcere e la confisca dei beni dei responsabili. Tutto questo nell’America di Bush, dove gli anticorpi funzionano meglio che da noi, nonostante il Presidente. Che fare? In una intervista al Corriere, Lester Thurow, professore di gestione aziendale ed economia al MIT( Massachusetts Institute of Tecnology) per oltre 30 anni, che di capitalismo se ne intende, ha consigliato la sua ricetta:” Due lezioni. Ci vuole la massima trasparenza che può essere imposta solo dagli enti di controllo e i Parlamenti, possibilmente giocando di anticipo, e ci vogliono punizioni esemplari. I colpevoli degli scandali devono andare in prigione, multarli non serve a niente.
I reati dei colletti bianchi sono stati sottovalutati, ma non è il gioco di Monopoli. L’etica negli affari non può essere solo uno slogan”. Il caso Cirio, a sua volta, aiuta a dare risposta al secondo problema: possono imprenditori e finanzieri già inquisiti e processati rimanere nel circuito degli affari o devono abbandonare come dovrebbero politici e funzionari infedeli? La risposta è no. Non possono. L’etica negli affari di cui parla Thurow, nel nostro paese suona come una bestemmia, se solo si riflette sul fatto che un’azienda di televisioni commerciali, prima si è fatta partito e poi si è fatta Stato. E siamo arrivati al problema dei problemi che è la necessità di ripristinare la legalità, dal momento che più di metà dell’economia del paese è illegale. Ma è evidente che è impossibile ripristinare condizioni accettabili di legalità se continua l’opera di delegittimazione della magistratura, condizione essenziale per assolvere e rimettere in circolo politici corrotti e anche “ solo” percettori di finanziamenti illeciti. I quali esistono, a condizione che qualcuno falsifichi i bilanci, le cui conseguenze per l’economia, i risparmiatori e i lavoratori, sono ancora più gravi di quelle prodotte da singole corruzioni.
Elio Veltri (da “L’Unità”)