Populismo e passività politica
Gli attacchi al potere giudiziario, all’informazione (vedi le censure dispensate a destra e a manca), alla Costituzione, ai sindacati e per ultimo alla classe politica («i politici sono ladri») sono tutti tesi a disarticolare le fondamenta stesse di quella che è definita una democrazia liberale. C’è una tendenza nel nostro Paese a creare una nuova società di homo homini lupus dove il più forte abbia il libero arbitrio sul più debole. La stessa demonizzazione del «secolo dei lumi» – a cui si deve la classica divisione dei poteri – è protesa a creare un neo oscurantismo dove le pulsioni più p
ericolose s’impossessano degli apparati statali per portare a compimento i propri disegni politici. Dobbiamo, dunque, dire addio a quel «contratto sociale» che sta alla base d’ogni convivenza civile?
Chi ha tutto l’interesse a distruggere quei codici comportamentali che non solo sono scritti, ma condivisi dalla maggioranza dei cittadini? La demagogia e il populismo sono da sempre – vedi le dittature sudamericane – strumenti in mano alle forze sociali più retrive. Il governo in carica è – difatti – un governo fortemente iperliberista in campo economico (distruzione di tutte le garanzie sociali), radicalmente illiberale in politica interna e antieuropeo in politica estera. Si serve per questo di un’intellighenzia asservita disposta ad amplificarne i messaggi e occupare tutti gli spazi d’informazione esistenti. A nostro avviso il governo Berlusconi ha un disegno politico ben preciso: stabilire un’egemonia politica, economica e culturale in Italia. Il tutto cementificato – come nel Medioevo – da un’anacronistica investitura divina (L’unto del Signore). Non comprendere questo significa collocarsi in quella tradizione aventiniana che portò l’Italia a ventanni di dittatura fascista. Il berlusconismo presenta elementi nuovi che non rientrano nelle tradizionali categorie della politica. «Mussolini – scriveva nel ’34 Carlo Rosselli – non avendo i valori legali, apparenti, badava ai sostanziali e soprattutto alla forza, alla giovinezza, all’iniziativa, all’attacco; le opposizioni, avendo conservato per concessione del dittatore («avrei potuto fare di quest’aula sorda e grigia…») le posizioni legali, si battevano sul terreno formale e morale, contestando la validità giuridica dei decreti mussoliniani, e rivendicando la rappresentanza di un’Italia che viveva ormai solo nelle memorie. Scambiando i reali rapporti di forza sociale con i vecchi risultati elettorali, vedevano nel fascismo un semplice colpo di mano contro il suffragio universale, un’avventura di stile sudamericano destinata a concludersi fatalmente nel giro di qualche mese».
Ci sono momenti nella storia delle società umane che forze oscure affiorano alla superficie facendole regredire pericolosamente. Ritorniamo ora all’attualità. La “Lista unitaria” commette un errore politico quando si astiene dal voto parlamentare sul rifinanziamento dei nostri soldati in Iraq per un semplice motivo: oggi non c’è bisogno di stare a disquisire se astenersi o meno, c’è bisogno di mantenere compatto e coeso quel fronte democratico, politico e sociale che si oppone alle politiche illiberali e iperliberiste di questo governo. Lo sanno tutti che la guerra in Iraq è una guerra sbagliata alimentata solamente dalla retorica governativa. Negli Stati uniti e in Gran Bretagna l’uso della menzogna sta mettendo in serie difficoltà l’accoppiata Bush e Blair. Inseguire Berlusconi – in nome di uno pseudomoderatismo – sullo stesso terreno ha dimostrato in questi anni che non porta da nessuna parte, ma lo consolida sulla scena politica italiana (vedi l’irrisolta questione del conflitto d’interessi). Ci si può accontentare degli effetti disastrosi della politica economica di Tremonti per sentirsi sicuri di vincere le prossime elezioni? «Che deve ancora fare il nuovo padrone per convincere il riformismo disarmato e rassegnato che calare le brache non serve?», scrive Giorgio Bocca su la Repubblica del 24 febbraio scorso. Il potere persuasivo e pervasivo del Cavaliere non va sottovalutato. La passività d’alcuni settori del centro-sinistra rischia di dare nuova linfa a un governo in indubbia difficoltà.
Antonio Bianco