Sottosviluppo e ultraliberismo
Terminata la guerra fredda e rimosse le rivalità politico-militari delle superpotenze, i paesi sottosviluppati, in particolare in America Latina, Asia, Africa, prima considerati terreno di confronto tra capitalismo e comunismo, sono diventati sempre più luoghi di feroci contrasti civili.
L’Angola, l’Algeria, la Liberia, il Ruanda, il Congo, la Somalia, il Tagikistan e molti altri stati sono letteralmente sprofondati in conflitti di distruzione nazionale, gestiti da gruppi armati che hanno fatto precipitare le loro popolazioni in un susseguirsi di violenze, intrise di risentimenti etnici, religiosi e politici.
La disintegrazione degli Stati-nazione in via di sviluppo, crea delle realtà ingovernabili che nascono dalla precarietà di questi paesi di fronte ad un sistema economico-mondiale incurante delle peculiarità (possesso di materie prime e surplus di manodopera) che un tempo li rendeva competitivi.
Il mutamento tecnologico, imposto dalla competizione mondiale internazionale, determina la selezione darwiniana, lasciando fuori migliaia di operai non qualificati e tonnellate di materie prime. Proprio, mentre, in gran parte di questi paesi si determina un’esplosione demografica urbana.
Circa quarant’anni fa un lavoratore su quattro era operaio, oggi a seguito di queste trasformazioni, solo uno su sette.
La veloce liberalizzazione di economie imperniate sulla produzione di materie prime, stabilita da organismi internazionali come la Banca Mondiale e il F.M.I, per programmi di adeguamento strutturale, ha danneggiato duramente i paesi sottosviluppati che hanno incassato in cambio solo investimenti instabili. Pur seguitando, infatti, ad esportare materie prime a bassa tecnologia, questi paesi sono stati obbligati ad importare un maggior numero di manufatti ed alte tecnologie a prezzi altissimi.
Nell’arco di vent’anni l’insieme di questi stati raggiungeranno i 6,5 miliardi di abitanti, prevalentemente situati all’interno di zone urbane che assumeranno l’aspetto di gironi infernali, dove scoppieranno gravi tensioni sociali.
Dunque, le politiche ultraliberiste degli organismi internazionali rischiano di far precipitare i paesi in via di sviluppo in una dimensione drammatica, mentre questi stessi modelli economici darwiniani colpiscono pesantemente anche aree meno sviluppate degli Stati occidentali , come l’Italia del Sud.
Quest’ultima, afflitta da una economia precaria ed arretrata, con gravi gap strutturali, rimane del tutto indifesa davanti ai dettami del neocapitalismo.
La cessazione della guerra fredda ha decretato non solo la sconfitta degli eredi di Marx e Lenin, ma anche di quelle politiche moderate cui si rifacevano i socialdemocratici tedeschi e i riformatori americani (come Roosevelt e Johonson) che, pur sostenendo la libera impresa, sentivano la necessità di controllarne gli eccessi, tutelando i bisogni e i diritti degli uomini, al fine di evitare quelle catastrofi sociali che oggi devastano le aree meno sviluppate del pianeta.
Antonio Gentile