«Benché ‘l parlar sia indarno»

«Benché ‘l parlar sia indarno»

I sacri valori della cultura, della libertà e della giustizia nell’ ‘Italia senza qualità’

Due fatti, più di altri, hanno dato la misura del degrado della politica — e della società — italiana — degrado morale prima ancóra che politico —: l’assoluzione piena dell’imputato nei due processi Andreotti (specialmente dall’infamante 416 bis: «associazione di stampo mafioso») e la discussione ed il tentativo di riabilitazione intorno al caso Craxi.

La storia dell’uomo politico milanese da poco scomparso è emblematica, specimen illuminante della malapolitica italiana di questi ultimi vent’anni, di cui scandisce, a mo’ di filo rosso, i Leitmotiv fondamentali: a rileggerla cursoriamente, ne emerge un quadro degno d’un fosco dittatore dell’America Latina (non sanguinario, certo, ma solo perché la situazione storica e socio-politica italiana è ben diversa da quella sudamericana): «Benedetto Craxi, detto Bettino, nasce il 24.02.1934 a Milano, da padre siciliano, testardo, avvocato, socialista, e da madre lombarda, dal temperamento aggressivo. Della sua data di nascita Bettino era solito dire con sorridente soddisfazione: “Sono dei pesci, ascendente squalo”.

A tre anni fa tante bizze da scoraggiare la direttrice d’asilo, che tra l’altro era la sua nonna Ildegarda. Viene quindi mandato ad un più severo collegio tenuto da preti. In seguito risulterà il bambino più ossequioso e compito durante la visita di un cardinale, al quale legge un messaggio di benvenuto.

Suo padre, antifascista, con l’arrivo degli americani a Milano viene fatto viceprefetto e Bettino, dodicenne, va poco a scuola e molto al cinema usando la tessera-omaggio della prefettura. Suo padre lo rispedisce allora in collegio e Bettino reagisce rubando dai locali della prefettura una rivoltella. Viene scoperto e disarmato.

In collegio, Bettino capeggia una banda di ragazzacci, racconta oscenità, urla verso i docenti e prende botte dai preti.

Quindicenne, Bettino distribuisce volantini elettorali a favore del padre candidato, il quale però non ha successo e perde anche il lavoro in prefettura, tornando alla professione di avvocato.

Al liceo Bettino studia poco, copia molto i compiti dai compagni, va dietro alle ragazze e nel 1952 viene rimandato in 4 materie all’esame di maturità. Diventa giocatore di poker, abile nel bluff.

A 18 anni Craxi prende la tessera del partito paterno, il Partito Socialista Italiano (PSI) e si iscrive all’università in giurisprudenza, che però studia poco e male. Diventa comunque il leader politico degli studenti universitari.

Nel 1959 si cimenta in competizione politica a Palermo, dove viene sconfitto da Achille Ochetto (futuro segretario del Partito Comunista Italiano) e da Marco Pannella (futuro segretario del Partito Radicale).

Nel PSI milanese Craxi è malvisto perché testa calda, e viene spedito a Sesto San Giovanni, roccaforte comunista, da dove torna riuscendo in qualche modo a non affondare.

Craxi si candida nelle elezioni comunali di Milano ed è penultimo degli eletti, riuscendo tuttavia a strappare una poltrona di assessore.

Nel 1964, la corrente socialista in cui milita Craxi prende la guida del partito e lui viene nominato segretario della federazione socialista provinciale. Il suo braccio destro nella federazione socialista cittadina è Antonio Natali, che verrà implicato nello scandalo delle tangenti per la costruzione della metropolitana milanese.

Nel 1965 il PSI e il PSDI (Partito Socialista Democratico Italiano) progettano per unificarsi e Craxi aspira ad un posto nella direzione del partito che ne risulterà, ma è malvisto da tutti. Ottiene però l’appoggio del socialista Pietro Nenni, che lo vede come un volto nuovo utile al partito, e così Craxi ottiene la carica di segretario del PSI a Milano.

A Milano è sindaco il socialista Pietro Bucalossi, che sta tentando di moralizzare lo sperpero di soldi pubblici in atto nella politica locale: Craxi lo boicotta apertamente fino a che Bucalossi finisce col cambiare partito.

Craxi prende sede a Milano in Piazza Duomo, pagando un affitto irrisorio per un locale di otto stanze di proprietà comunale. Inaugura uno stile di partito e di amministrazione pubblica da pompa magna, con grande dispendio di risorse finanziarie del PSI e del Comune di Milano, nonché dei vari apparati pubblici su cui riesce ad avere influenza.

Nel 1968 il PSI va molto male alle elezioni per la Camera, ma Craxi tiene abbastanza bene e riesce ad arginare l’ascesa di un altro socialista, Eugenio Scalfari, giornalista del settimanale “L’Espresso”, suo avversario perché schierato per un PSI e per un’Italia puliti ed onesti.

Eletto deputato, Craxi dovrebbe lasciare la segreteria del PSI, come prevede lo statuto del partito, ma non rispetta i regolamenti e mantiene entrambe le cariche.

A Roma Craxi prende per sé un appartamento, edificandovi poi abusivamente un attico.

Nel 1969 il PSI e il PSDI tornano separati e Craxi ne esce indebolito, ricevendo solo il 18% dei voti dei socialisti, ma è nel frattempo diventato uno degli uomini piu’ ricchi e duri del PSI, e riesce ad imporsi. Craxi spinge Nenni ad usare fondi pubblici, sovvenzioni da gruppi finanziari e denaro proveniente dal sottogoverno milanese per potenziare la sua corrente politica all’interno del PSI. Protestano socialisti nobili come Riccardo Lombardi, ma lo stile di arrivismo e corruzione alimentato da Craxi ha il sopravvento.

Comunque, anche se fa comodo a molti, Craxi non è benvisto a causa del suo carattere accentratore e antidemocratico, e viene nominato in Commissione Esteri perché viaggiando stia alla larga dalla politica nazionale. Lui utilizzerà l’incarico per tessere relazioni internazionali, soprattutto con gli americani, che lo invitano a spingere l’Italia verso destra.

Nel 1970 Craxi si distanzia dal PCI e allaccia rapporti con la Democrazia
Cristiana (DC), la quale ha appena ricevuto una forte batosta nel referendum sul divorzio: Craxi accorre in soccorso della DC appoggiando la proposta di formazione di un governo di destra DC+PSDI+PSI, ma la proposta non ha successo.

Nel 1975, alle elezioni, la DC scende al 35%, il PCI sale al 34.4%, il PSI
prende il 12%, ma Craxi rifiuta un’alleanza col PCI per un governo nazionale, mentre lo accetta per la giunta comunale di Milano.

Nel 1976 Craxi diventa segretario nazionale del PSI perché appoggiato da pezzi grossi del partito che pensano di poterlo manovrare senza esporsi. Craxi guida il partito però senza mai mostrare riconoscenza né uniformità di vedute coi suoi sostenitori e anzi senza rispettare le regole di democrazia interna del partito, di cui si impossessa rapidamente con manovre spregiudicate e colpi bassi.

Craxi guida il PSI verso una politica di compromessi con la DC, e ad esempio appoggia il democristiano Mariano Rumor votando contro il rinvio all’esame del Parlamento del suo coinvolgimento nelle tangenti per l’acquisto di aerei militari dalla Lockeed, ottenendo in cambio un analogo favore dai democristiani per circa 30 deputati socialisti implicati in traffici all’esame della Commissione Inquirente.

La corrente socialista di Riccardo Lombardi protesta pubblicamente, e a Bologna centinaia di militanti socialisti inveiscono contro Craxi, ma lui non ne tiene conto e procede nella sua politica.

A Milano, anzi, Craxi impone come candidato socialista nelle elezioni comunali il suo fedele Carlo Tognoli, boicottando il candidato socialista Umberto Dragone, vicino alle posizioni di Riccardo Lombardi.

Il possesso del PSI da parte di Craxi viene agevolato dalla caduta elettorale del partito, che in quel 1976 passa dal 12 al 9.6% dei consensi, il che mette in crisi la direzione del partito. Così al congresso Craxi si vede appoggiato da Enrico Manca, Fabrizio Cicchitto, Claudio Signorile e Antonio Landolfi, che con i voti dei loro gruppi battono il vecchio segretario Francesco De Martino e fanno eleggere Craxi alla guida del PSI. A Craxi si assoceranno quindi anche Rino Formica, Claudio Martelli e, successivamente, Gianni De Michelis. Un complotto estraneo alle consuetudini del PSI, che fino a Craxi aveva conservato una serietà e pulizia di democrazia interna. Riccardo Lombardi, ancora una volta, mostra disgusto per quel modo scorretto e privo di scrupoli posto in essere da Craxi, ma non riesce a contrastarlo, e Craxi elimina uno dopo l’altro dapprima i socialisti nobilmente legati agli ideali di partito, poi elimina i simboli stesso del socialismo dagli emblemi, riducendo a quasi invisibile segno il distintivo di falce e martello e ponendo in pieno campo il simbolo del garofano.

Craxi commissiona, con spese ingentissime, scenografie e stili grandiosi all’architto Filippo Panseca, che con gusto discutibile fornisce al PSI contorni all’americana, di lusso un po’ pacchiano e del tutto in contrasto con quel che era prima il partito socialista italiano.

Il socialista Fausto Gullo si guadagna la stima delle sinistre per i suoi seri attacchi politici al democristiano Giulio Andreotti in relazione al cosiddetto “scandalo Fiumicino”, ma Craxi manovra per boicottare il suo compagno di partito fino a fargli perdere la candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura. Intanto il socialista Giorgio Mazzanti è coinvolto nello “scandalo ENI-Petronim”, e con lui il suo padrino politico Claudio Signorile.

Nel 1978 le Brigate Rosse rapiscono il leader democristiano Aldo Moro, proponendo uno scambio con brigatisti prigionieri nelle carceri di stato. La DC, il PCI e il PSI sono tutti per una linea di non trattativa con le BR, ma con un colpo di scena Craxi propone di accettare lo scambio.

Nel dicembre 1978 Patrizia Piccolo, entreneuse e donna della “mala” milanese, vede più volte Craxi giocare a poker nella bisca clandestina di Francis Turatello, detto “faccia d’angelo”. Così depone la donna al sostituto procuratore di Milano Giorgio Della Lucia nel corso di indagini su Turatello per storie di bische clandestine, prostituzione e sparatorie. La Piccolo riferisce che Craxi veniva con Ugo Filocalo, pregiudicato del clan Turatello, e che era in confidenza con lui, tanto che lo chiamava “Ughetto”. Craxi, secondo la Piccolo, perdeva spesso, anche fino a 60 milioni a sera.

Quando Turatello viene ucciso, il mafioso Salvatore Sanfilippo, detto “Turi il computer”, dichiara agli inquirenti che Turatello aveva finanziato l’attività politica di Craxi con sovvenzioni di diversi miliardi di lire.

Nel 1979 le elezioni politiche inchiodano il PSI al 9.8%, ma il partito è al governo con la DC sotto la presidenza di Francesco Cossiga, ex ministro democristiano responsabile durante il rapimento Moro e che abbastanza misteriosamente aveva collezionato diversi clamorosi fallimenti nella vicenda fino al mancato trovamento della prigione di Moro nonostante i mezzi imponenti a sua disposizione (37.000 posti di blocco, migliaia di perquisizioni, confidenze provenienti dall’ambiente brigatista). Risulterà che il gruppo d’intervento comandato da Cossiga era in realtà pesantemente infiltrato dalla loggia massonica clandestina detta “Loggia P2”.

All’inchiesta sulla P2 emerge che il capo della loggia, Licio Gelli, aveva finanziato candidati socialisti toscani e lo stesso Craxi, attraverso Martelli, con versamenti sul conto bancario svizzero denominato “conto protezione”. Nel solo 1980 i versamenti accreditati a Craxi furono di diversi milioni di dollari.

Quando viene arrestato il finanziere della P2 e del Banco Ambrosiano, Roberto Calvi, il PSI lo difende apertamente sia col quotidiano di partito “L’Avanti”, sia con uomini di spicco del PSI quali Francesco Forte, Ugo Intini (portavoce di Craxi), Dino Felisetti e lo stesso Craxi, che attaccano la magistratura. Calvi confessa di aver finanziato il PSI con circa 21 milioni di dollari. Rapporti diretti tra la P2 e Craxi sono confermati dal socialista piduista Vanni Nisticò.

Nel 1981 la linea di Craxi è ormai consolidata, dal monumentale garofano rosso troneggiante sul Monte Pellegrino a Palermo, all’allontanamento del socialista Michele Achilli perché in disaccordo con Craxi sull’istallazione in Italia dei missili americani Pershing e Cruise puntati contro l’Unione Sovietica. Vengono allontanati dal PSI anche Enzo Enriquez Agnoletti e Tristano Codignola perché criticavano Craxi per la sua politica, e il socialista Franco Bassanini, propugnatore di azioni di raddrizzamento delle amministrazioni pubbliche, riceve pubblici schiaffi in parlamento da parte del socialista craxiano Giorgio Gangi.

Craxi viene indicato dalla propaganda di partito come statista di livello per le sue proposte di modifica del sistema politico italiano: vuole una repubblica presidenziale, vuole lo sfoltimento dei partiti politici, vuole la subordinazione del potere giudiziario al potere esecutivo. Nel partito ottiene l’elezione diretta del segretario da parte dell’assemblea congressuale. Son tutti orientamenti già nei piani di demolizione della democrazia contenuti nei programmi politici della loggia massonica P2.

Nel 1983 la DC crolla elettoralmente e il PSI, pur col suo esiguo 11% dei voti, guida il Paese col primo governo Craxi.

Il mafioso Angelo Epaminonda dichiara ai giudici che per l’acquisto del Casinò di Sanremo in quel 1983 erano in lotta da un lato Epaminonda, il clan mafioso palermitano dei Bono e il conte Borletti; dall’altro lato Merlo e il capomafia catanese Nitto Santapaola. Mediatore tra i due schieramenti era Lello Liguori, amico di Craxi, che appoggiava il conte Borletti, il quale vinse appunto la gara.

Nel 1984 Craxi firma un nuovo Concordato con la Chiesa Cattolica, concedendo nuovi privilegi al Vaticano, anche in materia d’intromissione nella scuola pubblica.

Nello stesso anno, Craxi concede la grazia al criiminale di guerra Walter Reder, responsabile della strage di Marzabotto. Inoltre appoggia il democristiano Giulio Andreotti votando contro un’accusa di coinvolgimento nello “scandalo petroli”: quel voto lo aiuta ad ottenere il rifiuto del parlamento alla messa sotto indagine. Sarà così la ventisettesima volta [sic!] che il parlamento rifiuta il consenso ad indagare per accuse mosse contro Andreotti nella sua vita politica.

Nel 1985 Craxi compie un gesto di autonomia verso gli USA rifiutando di consegnare agli americani gli autori del sequestro della nave “Achille Lauro” il cui aereo era stato costretto dall’aviazione statunitense ad atterrare a Sigonella. Ma subito dopo Craxi dà corso per primo in Europa all’istallazione in Italia, a Comiso, dei missili americani Pershing e Cruise puntati contro l’Unione Sovietica.

Nei suoi viaggi all’estero, Craxi porta con sé intere corti di sudditi, compresi il sarto Nicola Trussardi e la cantante Caterina Caselli, con spese ingenti a carico dello stato, non dando peso alle pesanti critiche ricevute da più parti per quegli abusi. Conduce parenti e amici in giro a spese dello stato anche quando, da Presidente del Consiglio in visita in Cina, conduce con sé la moglie Anna, il figlio Bobo e la fidanzata di lui, la figlia Stefania, i coniugi Ripa di Meana, la compagna di Martelli, due segretarie. E sempre a spese dello stato fa una digressione, in India, per andare a trovare suo fratello Antonio, il quale pubblica un libro patrocinato dal Provveditorato agli Studi di Milano e diffuso nelle scuole medie di tutta la provincia.

La politica di Craxi è di appoggio alle banche e alle grandi imprese, e di riduzione dei salari. La conseguenza è una ripresa della Borsa, a vantaggio dei ricchi speculatori, e il calo dell’inflazione, reso vano però da un ingigantimento del debito pubblico, che passa dal 65% al 92% del prodotto interno lordo dell’Italia.

La propaganda di partito indica nella ripresa di borsa e nel calo dell’inflazione il successo di Craxi, minimizzando gli altri aspetti, negativi, della sua politica. Tra l’altro si dà rilievo alla crescita economica, affermando che l’Italia con Craxi aveva raggiunto il quinto posto nella graduatoria dei Paesi più ricchi ma conteggiando anche l’economia sommersa, che sotto Craxi era cresciuta fino al 20% di quella ufficiale, trascurando il fatto che l’economia sommersa è basata sullo sfruttamento dei lavoratori, sull’evasione fiscale e sull’arricchimento indebito delle imprese.

Si accende quindi una dura contrapposizione tra Bettino Craxi ed Enrico Berlinguer, segretario del PCI e critico verso quella politica di benessere reale solo per i potenti e illusorio per il popolo perché basato sull’indebitamento abnorme.

Dopo il primo governo Craxi (1983-1986) si ha un secondo governo Craxi (1986-1987), ma nessuno dei problemi di fondo dell’Italia è intaccato, e il debito pubblico continua a crescere in modo spaventoso e la disoccupazione passa dall’8.4% al 10.6%.

Man mano che diminuiscono le risorse finanziarie pubbliche, diminuiscono anche quelle a disposizione di Craxi e del PSI, e della DC, provenienti dalle tangenti sui lavori pubblici e dalla corruzione. Diminuisce quindi anche il consenso di complici e di chi stava ai margini tacendo, e diminuisce il potere d’intimidazione di Craxi e di altri verso la magistratura e verso la stampa.

Così, sempre più numerosi sono i procuratori della repubblica che trovano lo spazio per indagare sugli illeciti commessi da politici coinvolti in tangenti e in rapporti con il crimine organizzato, e tra questi politici molti sono del PSI. Cresce allora da parte di Craxi la campagna contro i giudici, ad esempio appoggiando il referendum sulla responsabilità dei magistrati o creando le superprocure per condurre il potere giudiziario sotto il controllo di quello esecutivo.

Il giudice Carlo Palermo indaga su compravendite illegali di armi tra società italiane e Paesi del terzo mondo, per centinaia di miliardi, e giunge a società finanziarie di proprietà del PSI, citando Craxi e suo cognato Pillitteri, socialista e sindaco a Milano, e un altro socialista di spicco come Ferdinando Mach di Palmstein. L’inchiesta viene però bloccata dalla Cassazione.

Altra vicenda giudiziaria fu quella della trasformazione di un’intera organizzazione del PSI in associazione per delinquere (“caso Teardo” a Savona); oppure del finanziamento illecito da parte dell’industria Ferruzzi al PSI per 750 milioni; o il “caso Signorile-Trane” sugli appalti alle ferrovie dello stato; o il “caso Duomo connection”.

Craxi, attraverso Martelli o direttamente, manovra la testata giornalistica RAI del TG2, imponendo ad esempio fedelissimi come Onofrio Pirrotta e Maria Giovanna Maglie. Attacca la stampa critica nei suoi confronti e se la prende perciò contro Paese Sera, contro Repubblica, contro L’Unita’, contro Il Corriere della Sera e perfino contro Le Monde. Alla RAI viene imposta dal socialista Giuliano Amato l’illeggittima violazione di uno sciopero in corso, interrotto per annunciare da parte di Craxi la promessa della costruzione dello stretto di Messina.

Suo figlio, Bobo Craxi, socialista anche lui, se la prende contro “Il Giornale” diretto da Indro Montanelli. La moglie di Bettino, Anna, viaggia in compagnia della moglie di De Mico, costruttore coinvolto in losche faccende economiche con il PSI. La figlia di Craxi, Stefania, ha una società di produzioni televisive il cui successo è assicurato da contratti con Canale 5 di Silvio Berlusconi, grande sponsor di Craxi.

Nel 1984 le reti televisive di Berlusconi vengono dichiarate fuorilegge perché trasmettono in difformità rispetto alla normativa vigente, ma Craxi emana il cosiddetto “decreto Berlusconi”, che consentirà la ripresa delle trasmissioni.

Intanto i socialisti compromessi con la giustizia per traffici, tangenti e corruzione, se non addirittura per commistioni malavitose, sono ufficialmente oltre una settantina.

Nel 1990 il governo di cui fa parte il PSI di Craxi invia una squadra navale nel Golfo Persico per attuare l’embargo contro l’Irak dopo la guerra del Kuwait. In quell’anno scoppia lo scandalo “Gladio”, l’illeggittima struttura semi-militare clandestina di cui fu uno dei fondatori il democristiano Francesco Cossiga, in quel momento Presidente della Repubblica. Il dossier è reso noto dal democristiano Giulio Andreotti. Nello scontro tra i due, Craxi appoggia Cossiga.

Intanto alla fine dell’anno il deficit del bilancio statale è di 147.000 miliardi di lire, e il debito pubblico complessivo supera il prodotto interno lordo nazionale di oltre 6.000 miliardi.

Nel 1991 Craxi invita gli italiani a non andare a votare al referendum per la preferenza unica, ma il suo invito va a vuoto. La sua politica comincia a ricevere critiche anche dall’interno del suo partito, da parte di Martelli e di Signorile.

Nello stesso anno il PSI, tramite il suo esponente Alberto Teardo, querela Nanni Moretti perché nel film “Il portaborse”, di Daniele Luchetti e con Silvio Orlando, impersona un ministro rampante e corrotto in cui si sentono raffigurati i socialisti.

Nel 1992 il PSI ha un calo di adesioni nelle elezioni politiche, anche per l’appannamento d’immagine di Craxi e di altri esponenti troppo compromessi con illeciti penali. Così il governo è presieduto da un socialista meno compromesso, Giuliano Amato, che comunque continua la politica di Craxi e abolisce del tutto dai salari l’indennità di carovita. Ciò nonostante l’Italia è costretta a svalutare, e ciò non basta per evitare di dover uscire dallo SME. Alle elezioni amministrative il PSI cala al 4%. Intanto un avviso di garanzia dei giudici colpisce Craxi in persona.

Nel 1993 altro avviso di garanzia a Craxi, per tangenti di 580 milioni di lire. Poi 2 avvisi di garanzia al suo braccio destro, anche se ultimamente critico, Claudio Martelli, sempre per tangenti. Martelli si dimette e poi si dimette anche Craxi. Quindi un terzo avviso di garanzia per Martelli, per riciclaggio. Ma il parlamento nega l’autorizzazione a procedere.

Dal 1989 al 1993 gli occupati nella grande industria diminuiscono del 15% e il debito pubblico sale a 1 milione e 755 mila miliardi di lire, mentre i risparmi popolari in titoli di stato passano dal 15% al 7%.

Il consenso degli elettori per Craxi e per tutto il sistema crolla del tutto l’8.4.1993, quando il 90% dei voti al referendum sul finanziamento statale ai partiti è contro tale provvedimento, anche se in realtà il provvedimento in sé non è la causa del malgoverno dei partiti ma anzi un tentativo di ridurlo (solo che la legge non prevedeva controlli e così ai 140 miliardi di lire annui di finanziamento legittimo statale ai partiti,
questi avevano aggiunto finanziamenti illeciti, da tangenti e corruzione, calcolato in circa altri 1260 miliardi di lire l’anno).

Per reati di tangenti, corruzione e simili, o di commistione malavitosa, sono indagate 6059 persone; con avvisi di garanzia sono 2.973; arresti e custodie cautelari: 3086 persone. Del PSI, 554 persone. Viene accertato che il solo Craxi in persona, e per il solo “affare Enimont”, ha ricevuto tangenti per 75 miliardi di lire.

Alla fine del 1993 la figura di Craxi è ormai del tutto screditata, sia per i reati commessi ai danni del popolo italiano, sia perché emerge chiaramente che i benefici prodotti dalla sua politica sono stati benefici d’immagine per l’Italia e di sostanza per impresari e finanzieri, mentre per la gente c’è stato un indebitamento pubblico che alcuni esperti calcolano riassorbibile in non meno di 20 anni.

Screditato Craxi, lo sostituisce il personaggio che più di tutti lo aveva favorito e sponsorizzato: Silvio Berlusconi.»6

«Colombo ha denunciato: “La logica di questa aula, da destra a sinistra, è quella dell’impunità: impuniti i ladri, i mafiosi, i Craxi, i Berlusconi, gli Andreotti. Ladri, vergogna, andatevene a casa”. Ha aggiunto un altro parlamentare come Bossi, pur già compromesso con Berlusconi: “Se Craxi torna trova il suo posto degnamente occupato da gente della sua pasta: il suo posto l’ha preso Berlusconi”.»7

Per l’ex-leader socialista (si fa per dire…) poco ci è mancato che gli venissero tributati funerali di Stato: Cossiga è arrivato a dire, con una frase che sarebbe ridicola se non fosse tragica, che «L’amico Bettino Craxi ha reso grandi servigi alla vita e alla dignità del Paese»8

Se è vero, com’è vero, che Craxi non è stato il solo a rubare, è anche vero che egli ha costruito ed imposto, con il bieco decisionismo che lo contrassegnava, uno stile politico e una macchina partitica che si alimentavano istituzionalmente con un sistema tangentizio e di corruttela tanto capillare quanto istituzionalizzato: una politica faraonica, i cui enormi costi potevano essere sostenuti solo attraverso un’associazione a delinquere capace di entrare in tutti i gangli fondamentali del potere e della cosa pubblica. Non può certo sorpendere la beatificazione post mortem da parte di una classe politica che non ha mai smesso di strepitare per varare il famigerato ‘colpo di spugna’ (leggi: «i ladri di partito non sono ladri»); il rischio quotidianamente incombente è, appunto, questo: un Parlamento eticamente illegittimo è more solito accanitamente — e ben comprensibilmente — arroccato nella difesa della sua cittadella inespugnabile, della sua immunità feudale e dei suoi privilegi medievali; ed è in ogni momento pronto a sfruttare la benché minima occasione per attuare, magari mascherandolo sotto l’abominevole eufemismo della ‘soluzione politica’, il suo vergognoso proponimento.

Craxi e i suoi strenui difensori hanno parlato di «esilio»: ma in realtà, come hanno sempre sottolineato Borrelli e gli altri giudici di Mani Pulite, l’uomo politico milanese non era altro che un «latitante». Piuttosto, quale pena potrebbe mai adattarsi a chi — come Craxi, ma non solo Craxi — ha messo un Paese in ginocchio, sia pure con la colpevole complicità dell’elettorato? Per crimini del genere, respingendo in ogni caso e senza eccezioni la pena di morte, giammai ammissibile, come non proporre, appunto, l’antico sistema dei Greci: l’esilio e la confisca dei beni (o meglio: il recupero per lo Stato), in quanto ‘nemici della patria’. L’Italia è stata governata né più né meno che come un esercito di occupazione, spremendo il Paese e le sue risorse all’infuori d’ogni legge politica che non fosse quella del più miope degli hic et nunc, del ‘tutto e sùbito’ d’una brama divorante e insaziabile, tragicamente incapace di costruire un programma, fosse pure alla più breve scadenza. «L’incapacità di andare oltre l’opportunistica utile gestione dell’esistente è stata, insomma, probabilmente — come ha scritto Giuseppe Ayala —, la principale causa del trionfo della tanto deprecata partitocrazia e, con esso, della degenarazione del sistema politico.»

È insieme triste e terribile, nel contempo, constatare come un’ideologia comunque umanitaria, nata da un sogno di uguaglianza e di giustizia, abbia potuto degenerare al punto che il Partito Socialista Italiano sia divenuto un’azienda, il fosco ricettacolo in cui confluisse chiunque avesse l’idea, purtroppo non peregrina, che attraverso la politica — ma diremmo meglio il politicismo — si acquisissero soldi facili e potere immeritato: le responsabilità di un Craxi, il maggiore uomo-simbolo del sistema insieme al senatore a vita romano, avvicinato opportunamente a Ceausescu per la sua forma mentis dispotica ed i suoi modi senza scrupoli nella gestione del potere10, sono naturalmente non soltanto le sue, ma quelle di tutta una classe politica che ha accettato qualunque patto diabolico (con la camorra, con la mafia, col grande potere economico…) e qualsiasi compromesso pur di drenare voti. Come diceva il padre fondatore Filippo Turati: «Come sarebbe bello il socialismo senza i socialisti» (e noi potremmo aggiungere: «Come sarebbe bella l’Italia senza gli Italiani…»).11

Del resto, va pure detto a chiare lettere che non è in alcun modo pensabile che chi era ai vertici di un partito, pur non avendo rubato in prima persona, non sapesse cosa facevano i suoi compagni: un esempio per tutti può essere quello di Amato rispetto al suo maestro Craxi. In effetti, il sistema era quello, in parte frutto anche dei costi sempre più incontrollati della politica: e chi non praticava la disonestà personalmente, certo sapeva, e ne era, almeno indirettamente, complice e consenziente. Ed il nuovo governo Amato dimostra inequivocabilmente — come ha icasticamente notato Antonio Di Pietro: «Craxi 1 e Craxi 2» — la perfetta continuità del nuovo con il vecchio, sinistro regime.

Nessuno dei partiti di potere può dirsi al di fuori o al di sopra di questa nostra vergogna nazionale: si può sconsolatamente dire, anzi, che la compromissione di ciascuna pars è direttamente proporzionale alla quantità di potere da essa gestita.

È stato un modo di amministrare — anzi: di malamministrare — lo Stato, che ha impedito un autentico sviluppo economico e civile del Paese, che andasse al di là dei bagliori surrettizî e ingannevoli d’un vuoto consumismo: una ‘dolce vita’ sul baratro d’un debito pubblico che cresceva a dismisura, di posti di lavoro creati dal nulla per un pugno di voti (e che oggi nel nulla stanno inesorabilmente risprofondando).

La classe politica italiana si è sin dall’inizio scagliata con una violenza legale inaudita e con la compattezza corporativa e consociativa che da sempre la contraddistingue per arrestare l’opera moralizzatrice dei magistrati colpevoli, a loro avviso, di «fare politica»: ma da chi sono stati costretti a farlo, se non da una classe politica di corrotti, di mafiosi e di ladri — o, nel migliore dei casi, di incapaci — che non è stata e non è in grado di assolvere ai suoi cómpiti politici istituzionali, lasciando dietro di sé, come un esercito di conquista, soltanto ‘terra bruciata’ od un abisso senza fondo? La classe dirigente italiana, tutta partitica o di emanazione partitica, ha da sempre fondato il suo operato nella prospettiva miope e meschina della pura gestione dell’esistente. «Tutti sanno cosa sia divenuta una carriera politica in Italia, e come gli avvocatucci provinciali e volgari eletti deputati fino a una diecina di anni fa, siano dei giganti rispetto ai loro possibili successori di oggi.»: altro fenomeno di quella «degradazione antropologica derivante da uno “sviluppo senza progresso”, qual è stato quello italiano con le sue case e il suo urbanesimo.» «Del resto, c’è da chiedersi cos’è più scandaloso: se la provocatoria ostinazione dei potenti a restare al potere, o l’apolitica passività del paese ad accettare la loro stessa fisica presenza (“…quando il potere ha osato oltre ogni limite, non lo si può mutare, bisogna accettarlo così com’è”, Editoriale del Corriere della Sera, 9-2-1975).»12

In realtà è proprio dal vuoto di governo della classe dirigente che è nata la necessità di una supplenza da parte della magistratura.

«La campagna d’autunno è partita. Sembra tendere a due obiettivi: mettere in riga le Procure, attenuare le possibili pene per vip e colletti bianchi. L’armata della Grande Spugna non schiera soltanto le truppe del Polo. Ci sono anche I manipoli della lista Dini, quelli del Ppi, parecchi diessini. La lista dei provvedimenti all’esame delle Camere è lunga ed esauriente: riposto il sogno del blitz, prevale la tattica del colpo di spugna a rate. Dà meno nell’occhio. E la gente si abitua.»13 È il frutto estremo di «Una stagione nella quale le ragioni degli indagati sembrano sempre prevalere su quelle degli inquirenti, dove l’obiettivo condiviso da quasi tutto il sistema politico, nella Bicamerale e fuori, è limitare il potere dei magistrati. Accomunati dallo stesso grido di dolore, uno con lo sguardo ai propri guai giudiziari, l’altro al buon esito delle riforme costituzionali, sia Silvio Berlusconi sia Massimo D’Alema aspirano a ridimensionare Mani Pulite.» Cinque, fra i tanti, i casi emblematici: uno: «20 gennaio: respingendo la richiesta del gip di Milano, che aveva condiviso analoga richiesta del pool Mani Pulite, la Camera nega l’autorizzazione all’arresto di Cesare Previti, accusato di aver distribuito mazzette ai magistrati. Determinanti i no della Lega e di metà dei popolari»; due: «Il 21 gennaio Ortensio Zecchino, del Ppi, presidente della Commissione Giustizia del Senato, presenta un emendamento per trasformare il finanziamento illecito dei partiti da reato penale ad amministrativo. Il rischio di un colpo di spugna, con il Ppi schierato con Polo e Lega, è forte.»; tre: «Un procedimento disciplinare e una minaccia di trasferimento per incompatibilità ambientale: ecco cosa ricava Gherardo Colombo dall’intervista rilasciata il 22 febbraio al “Corriere della Sera”, nella quale ha sostenuto che la Bicamerale è figlia della società del ricatto frutto dei compromessi degli ultimi vent’anni. La magistratura magari sbaglia, ha detto il magistrato, ma è ancora una “variabile non coerente con il sistema consociativo. Per questo preoccupa. Ecco la necessità di ridimensionarla.” Le reazioni dei politici sono così sproporzionalmente furibonde da rivelare l’esistenza di un’animosità micidiale.»; quattro: «Il 27 febbraio 1998 verrà ricordato da molti magistrati. Quel giorno, la Cassazione rende retroattivi gli effetti della discussa riforma dell’articolo 513 del codice di procedura penale, secondo la quale vanno confermate in dibattimento le dichiarazioni rese dai coimputati davanti ai pm. Anche se il governo e la Cassazione si affannano a gettare acqua sul fuoco, c’è il rischio che molti processi siano da rifare […] Con la riforma dell’articolo 513 del codice di procedura penale da parte del Parlamento, i collaboranti debbono confermare in aula le dichiarazioni rese in istruttoria, pena la nunllità dei verbali. E pochi giorni fa la Cassazione ha rafforzato questa garanzia per la difesa rendendola retroattiva […] Forse neanche l’estensore del papiello [un documento di richieste della mafia allo Stato] aveva osato sperare tanto»; cinque: «Il 26 febbraio, con linguaggio piano e burocratico, il governo chiede una delega apparentemente innocua: […]. In realtà, si trata del tentativo di azzerare tutti i processi riguardanti i reati con una pena inferiore ai 4 anni, a cominciare da quelli del finanziamento illecito dei partiti, processi che vedono coinvolti molti politici della prima Repubblica.»14

Uno dei più appariscenti simboli dei feudali privilegi della classe politica è rappresentato ddalla residenza principesca del Presidente della Repubblica: «Ottocento stanze, tremila finestre, il tappeto più grande d’Europa. E ancora: scuderie, officine, due chiese… Il tutto governato da 600 dipendenti (più un esercito di collaboratori) […] una reggia di 180 mila metri quadri. Basteranno sette anni per vederla tutta? […] lo stipendio del nostro primo citadino [è di] 363 milioni l’anno, le spese di rappresentanza arrivano a quasi 300 miliardi l’anno. […] In Inghilterra alla Regina bastano 60 miliardi pr andare avanti, eppure non sembra che si faccia mancare nulla. E persino la Casa Bianca costa a Clinton meno del Quirinale (circa 250 miliardi).»15

Un quadro politico, per riprendere le celebri, famigerate parole di Rino Formica, di «nani e ballerine»16, il cui acme è stato forse raggiunto dal balletto grottesco sull’estinzione del debito pubblico aperto da un cantante leggero del quale lo stile di vita, le pseudo-idee, l’anti-cultura ed i rumori (non osiamo chiamarli musica, ché nulla hanno a che vedere con quella nobile arte) costituiscono per gil adolescenti una scuola tanto diseducativa quanto rimbecillente: «Certo è che questo ragazzo ha il fiuto del suo pubblico. Lui è riuscito a trasformare la sua vita in un avvenimento multimediale. Decide di andare a fare un giro in bicicletta? Incide un disco. Vuole farsi crescere il pizzetto? Ci monta sopra sessanta puntate radiofoniche. Nasce la sua bambina? Fa un video, un collegamento internet, scrive un libro, incide un disco e stona con la sua voce da controfagotto un intero CD facendo tendenza! È un ragazzo micidiale. Adesso è andato a Sanremo e […] ha lanciato questo sasso subito raccolto da D’Alema che si trova in piena campagna elettorale e un bel gesto demagogico non si nega a nessuno. […] Provate a pensarci sopra. C’è un extraparlamentare che vi ha chiesto un milione per iniziare la sua attività e dopo tutti questi anni non ve lo ha ancora restituito. Voi cosa fate, gli cancellate il debito? Ma se lo è già cancellato da solo, il debito, perché non vi può pagare e non avete nulla da sequestrargli per il recupero forzoso della somma. (C’è una terza possibilità, quella di andare da lui con un nodoso bastone, ma questa è la politica degli americani). Allora caro D’Alema e caro Jovanotti che hai schierato fuori dal festival una intera organizzazione che vende gadget “Jovanotti, cancella il debito” per beneficenza, of course, ma perché invece che cancellare il debito di seimila miliardi non lo si congela, tanto non li si prende ugualmente indietro e si usano questi soldi del Bilancio Statale per (cito a caso): togliere i nostri terremotati dalle baracche; togliere un po’ di tassa sulla benzina; aiutare i giovani a trovare lavoro; incoraggiare una vecchiaia più dignitosa; migliorare l’efficienza dei nostri ospedali; fare arrivare i treni; far partire gli aerei; migliorare le condizioni degli extracomunitari qui da noi; smettere di far arrivare le lettere in tempi biblici; computerizzare gli uffici pubblici per eliminare le code; aiutare a lasciare a casa l’auto; far giocare i nostri bambini; eliminare lo spaccio di droga fuori dalle scuole, giardini pubblici, ecc. (continuate voi.)»17

Lo scandalo della Missione Arcobaleno ha confermato la corruzione come un ‘talento’ tipicamente italiano, una delle cui radici affonda certamente nel tremebondo dissesto culturale e morale dell’università e della scuola italiane, la cui vicenda si è ormai definitivamente risolta in una grottesca pantomima dell’ignoranza e del demerito ed in un diseducativo ed incivile assistentato sociale: «come insegnare il rispetto e il fondamento delle regole, dove fondare l’istanza della lealtà verso le autorità preposte alla loro applicazione — alle quali facciamo appello in ogni ambito di vita — quando la scuola non riesce né a dare seguito, né a dar conto delle norme che la regolano? […] Tuttavia, come non è esagerato cercare nell’ethos scolastico americano la radice dello scandalo per i capi politici sorpresi a mentire, non è neppure esagerato cercare nell’esperienza tranquilla della truffa scolastica la radice delle patologie che segnano nel nostro paese i processi per il conferimento di quasi tutti gli uffici pubblici. Processi incapaci di riconoscere i meriti e di legittimare i titolari: dai concorsi per cattedre universitarie a quelli per le Ferrovie dello Stato. In una società nella quale una parte spropositata di lavori si è trasformata in uffici pubblici, e nella quale gli uffici pubblici vengono attribuiti sulla base di crediti e processi scolastici anch’essi di carattere pubblico, come si può continuare a farsi guidare solo dall’ironia dei nostri ricordi giovanili?»18

La soluzione per il problema italiano è in fondo semplice ed evidente, ma resa complessa e per certi versi impossibile dall’infinito sistema corporativo e dalla spaventosa macchina burocratica dello Stato e delle leggi: il costo elevato della vita, la qualità vergognosamente scadente ed inversamente proporzionale ai costi dei servizî (specialmente di alcuni: le Poste in primis), in costante aumento economico ed in altrettanto costante decadenza qualitativa, il tasso d’inflazione solo a tratti tenuto sotto controllo sono l’inverecondo frutto di un regime economico non concorrenziale, ma palesemente e tipicamente di trust, che tiene alti i prezzi, bassa la qualità, e sviluppa un violento impatto inflattivo. Le vicenda delle telecomunicazioni è esemplare: neanche nei Paesi comunisti c’era un tale monopolio dittatoriale com’è avvenuto, con nefaste conseguenze qualitative ed economiche, con la Telecom. L’assenza in molti settori vitali — dalla benzina alle assicurazioni — di un reale mercato, governato da potenti ed occulti (ma non troppo…) cartelli, produce danni incalcobili sull’economia italiana e sulla qualità ed il tenore di vita dei suoi cittadini.19

«Tolleranza zero non è solo uno slogan facile da ripetere, è davvero l’unica via percorribile per risanare la società. […] Io penso che, però, sia sbagliato governare pensando al consenso popolare. In Gran Bretagna il sistema politico è più semplice: chi vince le elezioni la fa da “dittatore” partendo dal principio che volendo accontentare tutti, alla fine, non si accontenta nessuno. E poi in Italia si commetteno sempre gli stessi errori. Per attirare investimenti bisogna dimostrare di avere una marcia in più non certo mostrare sempre una situazione troppo burocratizzata e poco trasparente. In Italia ci sono troppe tasse, c’è una burocrazia troppo complessa e soffocante. Servirebbe mettere in risalto una cultura del lavoro che pure c’è ma che viene mortificata, specie agli occhi degli investitori stranieri.»20

Tutto il 1999 è stato costellato di sconfitte per la giustizia, a cominciare dal no della Giunta per le autorizzazioni a procedere all’arresto di Marcello Dell’Utri, una delle figure di spicco del clan di Berlusconi: Socialisti e Partito Popolare Italiano — confermando che quando si tratta di proteggere le proprie malefatte non ci sono schieramenti politici che tengano — hanno determinato col loro voto la bocciatura della legittima richiesta dei magistrati palermitani per l’accusa di tentata estorsione e concorso in calunnia aggravata.21

Solo pochi giorni dopo è avvenuta la débacle del pool siciliano capeggiato da Caselli, degno erede di Falcone e Borsellino alla guida della Procura di Palermo: eppure, l’accusa era ben circostanziata, ruotante intorno (ma non solo) alle svariate testimonianze dei ‘collaboratori di giustizia’. Come ha detto il Pm Scarpinato nella premessa che portava alla richiesta di condanna, «”Giulio Andreotti non è stato una meteora per Cosa Nostra, ma uno degli artefici del potere politico-mafioso nella vita istituzionale. Tutto questo è frutto del ventennale patto di scambio con reciproci vantaggi: per l’imputato l’accrescimento della sua corrente politica, per Cosa Nostra non solo gli illeciti degli interventi personali di Andreotti ma il vantaggio permanente di una struttura di potere nazionale e articolato in tutti i settori istituzionali.” […] E poi Andreotti “aveva un potere di intimidazione anche nei confronti dei collaboratori di giustizia, che avevano paura e timore di parlare di lui” come nel caso di Buscetta che ha taciuto perfino a Falcone dell’”entità Andreotti”. Che — sempre a dire di Buscetta — stava dietro l’intreccio Dalla Chiesa – Moro – Pecorelli. Il Dalla Chiesa che già nel 1982 bollò come “famiglia più inquinata dell’isola” quella andreottiana, e che non esitò a dire allo stesso senatore a vita che non avrebbe avuto remore nel colpire alcuni suoi uomini. Ma Scarpinato si infiamma soprattutto quando parla del delitto Mattarella: “Uomo del rinnovamento della Dc ucciso secondo la legge mafiosa, colpirne uno per educarne cento”. A leggere le dichiarazioni del pentito Mannoia, però, quel delitto fu voluto da Cosa Nostra per mostrare proprio ad Andreotti il potere mafioso.»22 E così il Pm ricostruisce «”la tela di Penelope” costruita da Andreotti per inseguire il suo sogno di immenso potere. Costruito con la corrente che porta il suo nome che accoglie quel Salvo Lima “costruito dalla mafia” per accrescere il peso del suo potere all’interno della Dc. Un Andreotti che sdogana Lima e che dà la possibilità a Cosa Nostra “di entrare nel grande gioco della politica per arricchirsi e godere di protezioni e di impunità”. E Giulio Andreotti — dice il pm senza dubbi — dà tutto questo alla mafia, facendo aggiustare processi, garantendo l’impunità, grazie alla ragnatela di amicizie. Per farlo — in cambio di voti — Andreotti “si incontra via via con i capi della mafia, nel 1970 con Frank Coppola “tre dita” per questioni legate alla corrente laziale, con Stefano Bontade nel 1976 per aggiustare un rpocesso, con Vito Ciancimino per fare unica corrente politica con i coleonesi di Riina e Provenzano, con Tano Badalamenti nel 1979, anno del delitto Pecorelli eseguito dalla mafia per fare un favore ad Andreotti, con Nitto Santapaola, con il latitante Michele Sindona per salvare la sua banca, ancora con Bontade, poi con Michele Greco per vedere assieme in anteprima dei film, fino al bacio con Riina”. […] Ma il patto si spezza quando gli ergastoli del maxi processo diventano definitivi: Cosa Nostra si vendica, uccide Lima, Ignazio Salvo, Falcone e Borsellino. Vuole uccidere acnhe Andreotti, ma gli basta avere bloccato la sua corsa al Quirinale e cancellato la sua corente in Sicilia.»23

«Di fronte al più esteso sistema di corruzione mai scoperto nella storia delle moderne democrazie occidentali»24, la sconfitta della magistratura siciliana è stata una sconfitta — etica, prima che giuridica — irreversibile per il Paese, anche per le sue risonanze simboliche: perduta l’occasione irripetibile di riscattare decennî di corruzione ed incapacità di musiliani ‘uomini senza qualità’; di fare pulizia in decennî di collusione fra grande criminalità organizzata e potere politico, l’Italia rischia di perdere anche l’occasione, altrettanto irripetibile, della modernizzazione, che non può non passare anch’essa, come ogni aspetto della vita civile, attraverso il riconoscimento timocratico dei meriti e l‘affermazione super partes (anzi: contra partes…) dei sacri valori della cultura, della libertà e della giustizia25.

Roberto Pasanisi

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Note

1. Montanelli amaro: «Ragazzi, non ci credo più», “Televideo”, 22/IV/1999, p. 146.

2. Scripta manent, “Il Mattino”, 9/XII/1997, p. 15: «L’Italia è allergica al dramma, e per esso nessuno è disposto a uccidere e tanto meno a morire. Dolcemente, in stato di anestesia, torneremo a essere quella “terra di morti, abitata da un pulviscolo umano”, che Montaigne aveva descritto tre secoli orsono. O forse no: rimarremo quello che siamo: un conglomerato impegnato a discutere, con grandi parole, di grandi riforme a copertura di piccoli giochi di potere e d’interesse.»

3. Primo Di Nicola, Chi indaga è perduto. Giustizia. La controriforma che non c’è. A parole, i politici si combattono. Nei fatti, hanno già trovato intese su moltissimi cambiamenti: è la legislatura dei colpi di spugna, dei limiti posti al potere della magistratura. Brevi ceni su una svolta tanto più insidiosa quanto più affidata a tante piccole azioni, in “L’Espresso”, 12/III/1998, pp. 50-52, p. 51.

4. Alla patria. Si noti il sapiente contrasto fra il tono ‘sublime’ del titolo (che richiama polemicamente tutta una tradizione dipoesia civile, segnatamente quella risorgimentale) e la materia e lo stile volutamente ‘bassi’ del testo.

5. Ahimè. Cfr., su questo tema, Roberto Pasanisi, Il ‘folle scialo’. L’Italia allo sbando, la ‘falsa soggettività’, l’industria culturale, in “Nuove Lettere”, II, 3, 1991, pp. 11-22.

6. Giuseppe Ricciardi, Quel che ricordo su Bettino Craxi, in “uma-list (Mailing list delle iniziative e attività del Movimento Umanista in Italia)”, http://www.href.org/umanisti, 24/I/2000.

7. «Seduta sospesa alla Camera con i commessi che sono intervenuti per evitare lo scontro fisico leghisti-deputati Fi. Sul rientro di Craxi in Italia la Lega è l’unico partito che non ci sta. Colombo ha denunciato: “La logica di questa aula, da destra a sinistra, è quella dell’impunità: impuniti i ladri, i mafiosi, i Craxi, i Berlusconi, gli Andreotti. Ladri, vergogna, andatevene a casa”. Da Fi difesa di Berlusconi e tre leghisti sisono avvicinati ai banchi azzurri. Cisono stati tafferugli e spintoni. Dopo l’episodio ha parlato Bossi: “Se Craxi torna trova il suo posto degnamente occupato da gente della sua pasta: il suo posto l’ha preso Berlusconi”.» (Camera: tafferugli Lega-Forza Italia su Craxi, “Televideo”, 22/X/1999, p. 124).

8. Cossiga: Ulivo 2 egemonista. Craxi ha servito il Paese, “Televideo”, 14/XII/1999, p. 122.

9. Giuseppe Ayala, Le colpe della politica, “Il Mattino”, 4/X/1992, p. 17. Cfr. pure, più in generale, Roberto Pasanisi, Il tempo dei giusti e degli onesti: dall’ ‘orrendo banchetto’ al ‘sacco del lucroso bottino’; dalla ‘rivoluzione morbida’ alla ‘primavera italiana’, in “Nuove Lettere”, III, 4, 1992, pp. 15-29.

10. Così, ripetutamente, lo ha definito Leoluca Orlando: in effetti, non è difficile immaginare che, in una situazione politica diversa, il leader socialista — insuperato campione del più brutale ‘decisionismo’ —, avrebbe tentato la via della dittatura. Adorno e coll., nel loro celebre e citatissimo studio La personalità autoritaria, non avrebbero avuto difficoltà a classificarlo come una ‘personalità autoritaria’, anti-democratica ed, in senso psicologico, fascistica (T.W. Adorno – E. Frenkel-Brunswick – D.J. Levinson – R.N. Sanford, The Authoritarian Personality, New York, Harper, 1950). Perfino nella corruzione non ha mancato di essere il primo: nella classifica pubblicata su “Il Mondo” del 23/VIII/1993 capaggia la poco onorevole graduatoria delle tangenti, con 207,3 miliardi, seguìto, ma a debita distanza, da alcuni altri campioni: Severino Citaristi (73,4 miliardi), Arnaldo Forlani (36,5), Giorgio Moschetti (28,5) e Giovanni Prandini (21) (cfr. pure Domenico Allocca, Mazzettopoli, il leader è Craxi, “Roma”, 22/VIII/1993, p. 6).

11. Enzo Biagi, Estradizione per Craxi, perché nessuno la chiede? Torna il passato, “Il Mattino”, 31/X/1999, p. 13. Cfr. pure Per Craxi funerali di Stato, ma in Tunisia. D’Alema e Violante lo commemorano. Borrelli nega l’espatrio a Pillitteri, Diliberto contrariatoLA sepoltura a Hammamet, presenti Berlusconi e Cossiga. Messaggio del Papa. I familiari: mai in Italia. E spunta il «testamento» del leader Psi: fondi neri per aiutare Arafat e Solidarnosc, “Il Mattino, 21/I/2000, p. 1.

12. Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, Milano, Epoca! I libri del punto esclamativo, 1988, p. 115; p. 114; p. 116; ma cfr. anche tutto il pregevole cap., intitolato 18 febbraio 1975. I Nixon italiani (pp. 112-116).

Ma il maestro friulano ha pure detto: «L’Italia di oggi è distrutta esattamente come l’Italia del 1945. Anzi, certamente la distruzione è ancora più grave, perché non ci troviamo tra macerie, sia pur strazianti, di case e monumenti, ma tra ‘macerie di valori’: ‘valori’ umanistici e, quel che più importa, popolari. Come quelli del 1945 gli uomini di potere italiani — a causa non solo della distruzione che hanno operato, ma soprattutto a causa dell’abiezione dei fini e della stupida inconsapevolezza con cui hanno operato — sarebbero degni di un nuovo Piazzale Loreto. Che certo — fortunatamente e sfortunatamente — non ci sarà:”» (Pier Paolo Pasolini, Pannella e il dissenso, in Lettere luterane, Torino, Einaudi, 1976).

13. Marco Travaglio, Una, dieci, cento impunità. L’autunno dei colpi di spugna. Perdonare i reati dei vip? Un po’ alla volta, leggina dopo leggina, le Camere ce la fanno…, in “L’Espresso”, 15/X/1998, pp. 75-77, p. 75. Cfr. pure Id., Guida alla perfetta amnistia, Milano, Garzanti, 1999; Id., Il manuale del perfetto impunito. Come delinquere e vivere felici, Milano, Garzanti, 2000 (in cui l’autore «raccoglie, smaschera e denuncia le infinite truffe linguistiche, i sofismi, i paralogismi, le invenzioni, le falsità, le autentiche menzogne con cui, a partire dall’arresto di Mario Chiesa, una variopinta compagni di uominipolitici, di intellettuali, di giornalisti, di giuristi, qualche volta di sinistra, molto più spesso di destra, ha cerato di delegittimare in questi anni le inchieste della magistratura italiana»); Gherardo Colombo – Corrado Stajano, Ameni inganni. Lettere da un paese normale, Milano, Garzanti, 2000; fra i libri della ‘prima ora’, Antonio Carlucci, Tangentomani. Storie, affari e tutti i documenti sui barbari che hanno saccheggiato Milano, Milano, Baldini e Castoldi, 1992; per una prospettiva storica, Vito Cirillo, La malitalia e i malitaliani, Roma, ARLEM, 1996; e infine, last but not least, per le idee contro-corrente di un grande scrittore sulla «laida e meschina Italietta» di caproniana memoria, Giuseppe Berto, Modesta proposta per prevenire, Milano, Rizzoli, 1982.

14. Di Nicola, Chi indaga.., cit., pp. 50-52.

15. Elena Oddini, Benvenuti in casa Ciampi, in “Gioia”, LXII, 22, 5/VI/1999, pp. 55-57.

16. Cfr. Giorgio Bocca, Aria di nuovo: nani e ballerine con contorno di martiri craxiani, in “L’Espresso”, 6/I/2000, p. 15: «Al congresso dei socialisti redivivi, sotto il tendone di Fiuggi, c’era di tutto un po’, come accade in quasi tutti i raduni politici: la nomenklatura craxiana, ex ministri e sottosegretari, presidenti dell’INA o dell’INPS per dire di qualche carrozzone statale, i burocrati messi dal partito a dirigere reti televisive, teatri dell’Opera, enti di beneficenza, quelli che stavano sul palco dell’Ansaldo attorno a Bettino e quelli cha andavano a raccogliere le tangenti anche per conto dei democristiani o a comperare le tessere fra gli inquilini delle case popolari.»

17. Aldo Vincent, Cancellate il debito!, “Il Grillo Sparlante – Qui Italia” (Il quotidiano telematico per gli italiani nel mondo) , http://www.qui-italia.it, 24/II/2000.

18. Missione Arcobaleno, retata di funzionari. Gestivano cibo destinato ai profughi. Barberi: operazione trasparente. Il Polo attacca. Lo scandalo degli aiuti: la magistratura barese arresta il responsabile in Albania e tre esponenti della Protezione civile, “Il Mattino”, 21/I/2000, p. 1. Arturo Parisi, Compagni che copiano. Due modelli di società a scuola, in “Il Mulino”, XL, 333, 1991, pp. 91-100, p. 93 (ma tutta la sezione della rivista intitolata Una scuola senza qualità è di grande interesse). Per la scuola, cfr. pure Lucio Russo, Segmenti e bastoncini. Dove sta andando la scuola?, Milano, Feltrinelli, 1998, pp. 22-25 passim: Irrilevanza dei contenuti e fine della selezione.

19. Cfr. Leopoldo Fabiani, Maledetta inflazione. I tassi a due cifre sono solo un ricordo ma il diferenziale con gli altri paesi rimane elevato. E sembra inestirpabile. Sotto accusa la scarsa competitività del sistema-paese, le inefficienze di tariffe e pubblica amministrazione, ma anche di banche e assicurazioni, “la Repubblica” (Supplemento “Affari e Finanza”), 8(XI/1999, p. 1; Antonio Padellaro, Lassù qualcuno ci frena. Antitrust. La clamorosa denuncia ddel Presidente, in “L’Espresso”, 3/II/2000, pp. 116-118; Myrta Merlino, «Mercato più libero prezzi più trasparenti. Come per i telefoni. L’analisi di Andrea Monorchio, “Il Mattino”, 8/III/2000, p. 11.

20. Salvo Sapio, «Meno balzelli e tolleranza zero». Intervista a Michael Drewitt. Il portavoce dell’Agenzia bacchetta i politici: In Italia si governa cercando il consenso popolare», “Il Mattino”, 9/XI/1999, p. 11.

21. M.P.M., La giunta dice no all’arresto di Marcello Dell’Utri. Da Montecitorio arriva una scondfitta per I magistrati siciliani. Decisiva la scelta di socialisti e Ppi, favorevoli sinistra e Lega. Ora tocca all’aula, “Il Mattino”, 9/IV/1999, p. 7. Cfr. Paolo Foschini, «Dell’Utri, un piano per delegittamere i pentiti». È accusato di tentata estorsione e calunnia aggravata. A Milano operazione parallela: in cella ufficiale dei carabinieri. La richiesta di autorizzazione già arrivata alla Camera. Tra I fermati il nipote di Mangano lo «stalliere di Arcore», “Corriere della Sera”, 10/III/1999, p. 3; e Maria Paola Milanesio, Niente manette, Dell’Utri salvo. Berlusconi: e ora nuova legge sui pentiti. Insorgono i Ds, “Il Mattino”, 14/IV/1999, p. 7.

22. Filippo D’Arpa, «Andreotti mafioso, merita 15 anni». Dai pm di Palermo l’ultimo atto d’accusa. La replica: ignorate le prove contrarie. Il processo del secolo. Le richieste del pm. Oltre al carcere, l’interdizione dai pubblici uffici. La parte civile: 1 miliardo al Comune di Palermo. «Il patto scellerato». Scarpinato ribadisce: «Per Cosa Nostra è stato una macchina da guerra. In cambio potere e voti», “Il Mattino”, 9/IV/1999, p. 7. Come ha dichiarato Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo e leader della Rete, «Giulio Andreotti è stato il referente di Totò Riina, ma altri adesso cercano di prenderne il posto. Cesare Previti, Silvio Liotta, Giuseppe Ciarrapico e Gianni Letta» (G.L.B., Grane. L’Orlando pignorato, “L’Espresso”, 15/X/1998, p. 51).

23. Filippo D’Arpa, «Andreotti, patto scellerato». Il pm: si accordò con la mafia per sete di potere. Palermo, cominciata la requisitoria. Durerà tre mesi, “Il Mattino”, 20/I/1999, p. 8.

24. Donatella della Porta – Alberto Vannucci, Un paese anormale. Come la classe politica ha perso l’occasione di Mani Pulite, Bari-Roma, Laterza, 2000.

25. Cfr. Mauro Magatti, Corruzione politica e società italiana, Bologna, il Mulino, 1996, IV di cop.: «Le indagini giudiziarie sulla corruzione e il conseguente crollo del sistema partitocratico hanno drammaticamente riproposto uno dei temi classici dello sviluppo italiano: l’incapacità di portare a compimento il processo di modernizzazione in presenza di estese e radicate pratiche particolaristiche che minano alla base la fiducia nelle istituzioni. In questa documentata ricerca l’autore mostra come, al di là delle contingnze politiche, l’eredità di Tangentopoli chiami in causa l’idea stessa di modernizzazione e i pericoli che incombono sul percorso evolutivo delle società occidentali. L’intreccio patologico tra interessi economici e partiti politici è un sintomo preoccupante di una crisi più generale della democrazia, del mercato e della politica intesa come luogo di composizione di spinte e valori conflittuali. Ecco perché affrontare il tema della corruzione politica quale si è configurata in Italia alla fine degli anni Ottanta significa parlare non del passato, ma del futuro delle società avanzate.»

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