Corpi che raccontano, Manuela Valentini

Corpi.

Corpi sciupati, toccati, violentati.

Corpi regalati, amati, mascherati, negati.

Corpi venduti, svenduti, posseduti.

Corpi animati, inanimati, clonati.

Corpi bagnati, salati, abbronzati.

Corpi danzanti, inebrianti, smaglianti.

Corpi odiati, macellati, incatenati.

Corpi assetati, affamati, calunniati.

Corpi accaldati, sudati, sventolati.

Corpi alleggeriti, appesantiti, scolpiti, sopiti.

Corpi avventurosi, scrupolosi, golosi.

Corpi sofferenti, splendenti, silenti.

Corpi belli, brutti, offesi, pretesi.

Corpi mai vissuti, mai conosciuti, mai cresciuti.

Corpi passionali, carnali, esistenziali.

Corpi che infettano, iniettano, svengono, proteggono.

Corpi che raccontano di me, di te, di noi.

Corpi che sono, che parlano, che sognano.

Corpi che vivono, che muoiono.

Corpi in pace, in guerra.

 

Inizia così questa combinazione di parole dedicata al corpo,

ai corpi di noi esseri umani “obbligati” a questa vita.

Non l ’abbiamo chiesto noi di venire al mondo, con questo

carattere, con queste fattezze, alti, bassi, magri, obesi,

felici, infelici. Altri hanno deciso oppure è capitato di

dare “concretezza” ad un amore giusto, sbagliato…….

Siamo qui a pensare e ripensare che cosa sarebbe successo

 

 

 

 

al mondo senza di noi, senza le nostre stranezze, debolezze, leggerezze, tenerezze.

Che spazio occupa in questo “quadro” che è la vita

il nostro viso con il suo sorriso, con il suo pianto;

la nostra testa con il suo cervello e il suo pensare;

il nostro orecchio con il suo sentire, ascoltare;

la nostra mano con il suo toccare, plasmare, costruire, distruggere, creare;

il nostro cuore con il suo amare, odiare;

il nostro sesso con la sua passione, convulsione, tensione;

il nostro piede con il suo andare, calpestare, evitare, schiacciare?

Un corpo. La somma di opposti:

reale        –   irreale

forte        –   debole

felice       –    triste

bello        –    brutto

grasso     –    magro

razionale –    irrazionale

Ci tocchiamo, ci sentiamo, esistiamo ma, a volte, sfuggiamo,

inciampiamo, inerpichiamo, sballiamo nelle decisioni, nelle

situazioni, nelle emozioni.

Si vedono, incontrano, scontrano corpi forti, robusti,

scolpiti, narcisi ma dietro, a volte, trapelano, trasudano

insicurezza, debolezza, incertezza, scontentezza, amarezza.

Corpi belli ma che, a volte, nascondono bassezze, bruttezze,

limitatezze.

Corpi grassi che si vedono magri, corpi magri che si vedono

grassi, celano o manifestano patologie, malattie esistenti

mascherate da certezze sorprendenti.

Non c’è da meravigliarsi se specchi appannati restituiscano

immagini deviate, distorte, offuscate, ingigantite, rimpicciolite.

   

Un corpo nell’acqua, come sta?

Bene! Benissimo! C’è nato.

Male! Malissimo! C‘è morto!

L’acqua: rinfresca, purifica, disseta, rigenera, calma, ristora.

L’acqua: affoga, inonda, indebolisce, ferisce.

Corpi rotolati, gonfiati, irrigiditi, sfigurati, mai ritrovati.

Quanto un corpo può soffrire, quanto una mente può “reggere”
di fronte a una giovane esistenza cancellata, inghiottita, annegata?
Non si può immaginare, pensare. Basta guardare il volto, i
segni che il corpo invia: colpiscono, feriscono, sgomentano.
Mare in…. burrasca, mare…. in calma piatta.
Ma noi nei nostri corpi non solo soffriamo, ci torturiamo
ma gioiamo, ridiamo, balliamo, cantiamo, viviamo.
Viviamo secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni
pieni, spenti, luccicanti, abbaglianti, grigi, neri, colorati,

scoloriti, sciupati, strapazzati, svergognati, rubati…… .
Una donna teme il tempo, ha paura che passi su di sé
inesorabilmente, implacabilmente, ferocemente, accanitamente.
Un’altra non lo teme, ne è complice, amica, sorella, amante.
Si può amare il proprio corpo? Essere talmente “presi”,
occupati da lui? Servirlo, onorarlo, glorificarlo, adularlo?
Non lo so; gli vogliamo bene, a volte lo maltrattiamo, lo
sviliamo, lo abbattiamo, lo recuperiamo, lo disintegriamo,
lo dimentichiamo, lo esaltiamo.
Ha bisogno di coccole, di tenerezze, di carezze, di certezze.
Di cure, di premure e non di “tagli” con la scure.
Le ferite si rimarginano non solo con il tempo ma anche con
il cambiamento di comportamenti nei sentimenti.
Quanto fa bene l’amore al nostro corpo? Alla nostra mente?
Corpo e mente si attraggono, si respingono.
      
    

         
Un’energia vitale, subliminale, bestiale che ci fa gioire,

intristire, rinvigorire, ammorbidire, irrigidire con e senza

freni, inibizioni, frustrazioni, sensazioni, motivazioni.

Il giorno cosa regala al nostro essere nel corpo? In vita?

Fretta, ansia, apatia, follia, spazi piccoli- grandi, luminosi-

bui, puliti- sporchi, aperti-chiusi, pieni- vuoti, bianchi- neri;

incontri fortunati, piacevoli, esagerati, esasperati;

lavori soddisfacenti, pertinenti, assorbenti, travolgenti;

amori mancati, ritrovati, risvegliati, rinvigoriti, assetati;

amici sbagliati, naufragati, ricuciti, rinsaviti, ritornati.

E la notte, cosa ci porta la notte?

Noi vestiamo e svestiamo i nostri corpi in un carosello

sensuale, trasgressivo, eccitante, mordente che ci fa perdere

e ritrovare dignità nello stesso tempo, a seconda delle persone,

degli oggetti, delle sensazioni che coltiviamo, che usiamo,

che sentiamo. In un agire frenetico, convulso, esasperato

che ci fa godere, gemere, tenere attaccati a qualcuno di cui

in quel momento o per sempre non possiamo fare a meno, gli

apparteni-amo, lo vogli-amo, lo ami-amo, lo sposi-amo,

ci separi-amo. Amo: A = Arte ; M = Muove ; O = Ordine.

L’arte muove l’ordine costituito delle cose, per renderle

uniche, originali, mai banali, flessibili, incontrovertibili.

Corpi: C = Conoscere ; O = Osservare ; R = Rispettare ;

           P = Piacere ;    I  =  Intenerire.

Conoscer/si-e, osservar/si-e l’altro, gli altri, vuol dire rispettar/si-li

 e far/si-gli piacere intenerendo/si-li.

Un abbraccio, una carezza, un bacio, una parola dolce,

semplice fanno rilassare, distendere, ammorbidire, addolcire

il nostro corpo emanando calore, colore, tepore, amore.

La dolcezza non è mai abbastanza:  è utile, indispensabile

 

 

 

 
 

 

 

 

come l’aria; attenua, sopisce l’aggressività,  la rende

inoffensiva, positiva; canalizza i nostri istinti rendendoli

docili, non bestiali, meno animali, più sociali.

I nostri corpi sono come strade “segnate” da:

pericoli, divieti, accessi, sensi unici, sensi alternati,

doppi sensi, precedenze, stop, semafori rossi, arancione,

verdi, doppie curve pericolose a sinistra e a destra.

I pericoli spesso non li vediamo, li mal interpretiamo, non

li capiamo, li confondiamo, ci immergiamo, li sottovalutiamo.

I divieti ci intrigano, ci dominano, ci assalgono, ci

distruggono, ci eccitano, ci neutralizzano, ci affascinano.

Gli accessi, da non confondere con gli eccessi, spesso e

volentieri sono sbarrati da lavori in corso mai terminati,

da porte di vetro mai segnalate, che disorientano, fanno male.

I sensi unici, a volte, facciamo finta di non vederli, li

percorriamo dove non possiamo inesorabilmente, stupidamente, spavaldamente.

I sensi alternati, da non confondere con alterati, ci

attraggono creando però caos, disordine, impazienza.

I doppi sensi stimolano incontri, incomprensioni,

avversioni, dolori, indecisioni, confusioni.

Le precedenze, le priorità ci governano, ci superano, ci

 vogliono per far fronte agli enigmi, alle certezze della vita.

Gli stop vanno rispettati, capiti senza indecisioni perché il

contrario fa male, molto male e spesso non c’è ritorno.

I semafori rossi vengono sfidati, guardati scrupolosamente,

osservati distrattamente, sopportati impazientemente.

Quelli arancione sono invisibili, poco importanti, decisamente

antipatici, insignificanti, poco interessanti.

Che dire dei verdi!  Attenzione: qui la politica non entra!

Attesi, superbi, scontati, sempre superati, mai frenati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le curve! Attenzione sia a quelle di destra che di sinistra,

non c’è differenza! Alcune appartengono a “corpi – strade”

lisce, tortuose, con dossi, a gomito…. E lì a districarsi sono

imprese! Gli uomini non le temono, anzi le cercano, vanno

incontro a loro perdutamente, inconsapevolmente, strenuamente.

Alcune donne se non le “ hanno”, le cercano, le

vogliono a costo di soffrire per apparire.

Non le condanniamo, le capiamo, non le imitiamo, ce ne

guardiamo!

Lo specchio, fonte di guai, ci firma, ci autografa

impietosamente, egregiamente, spudoratamente. La nostra

totale “impronta corporale” viene riflessa e ci fa star male,

bene, ci entusiasma, ci annulla, ci rende sicuri, insicuri,

tristi, felici, ci fa spendere la giornata o la serata

condizionandola positivamente o negativamente, senza pietà.

Il corpo “sportivo” si muove con grazia, scioltezza, leggiadria.

Ha raggiunto traguardi importanti, ha sudato, gioito, pianto,

esultato, perdonato, gridato, barato, allenato, atteso, compreso.

Si è drogato, siringato, naturalizzato, costruito, scolpito.

Ha stretto coppe, indossato medaglie, raggiunto cime, percorso

salite e discese, schermato, driblato, parato, battuto, centrato,

mirato, bocciato, palleggiato, ruotato, nuotato, danzato.

Ha disegnato su di sé muscoli che sembrano finti, lucidi,

d’oro, levigati, mai sciupati sempre tirati.

La vittoria è bella, la sconfitta è brutta! Sport e vita si

intrecciano, si intersecano, si incontrano in una magica

danza irreale che ha come colonna sonora i gesti, i

movimenti semplici, complessi di un corpo che dà, che vuole.

Il movimento sinergico, coordinato, misurato, controllato.      

           

   

 

 

 

 
I corpi “malati” sono rigidi, tesi, rugosi, sudati, non

profumati, infreddoliti, gelati, accaldati, teneri, provati.

La bocca sputava saliva, vomitava parole di dolore, chiedeva

pietà. Il suono del campanello allertava l’infermiera che dal

suo camice bianco sfoderava quell ‘ago che avrebbe portato

sollievo, quella fiala che avrebbe sterilizzato il dolore.

Lui era lì accanto al suo viso, le sue mani la cercavano

ma non la toccavano, i suoi occhi chiedevano respiro, sollievo,

cambio, voglia di gridarle: “Scappo! Non ce la faccio! Ma

non posso. Voglio urlare, naufragare…sprofondare…..”.

Ma lei, nonostante tutto, fiera, austera nel suo martirio

compativa l’altrui fragilità, la debolezza dell’altro corpo

sano ma privo di tenacia, di determinazione, di forza dentro.

Tutto internamente era distrutto, macero, tozzo ma fuori i

lineamenti di quel volto indurito dalla vita erano fieri,

veri, non una lacrima, ma un sorriso concesso da una dose di

morfina amica degli ultimi attimi, secondi di un esistere

che dà il suo stop, il non ritorno. Cosa resta di quel corpo?

Una manciata di cenere che un contenitore anonimo contiene,

nulla di più? No, non esiste che su quella energia, simpatia,

generosità, allegria, ironia, testardaggine, eleganza, classe

sia calato il sipario per sempre. Vogliamo il diritto di

replica, lo supplichiamo, ci inginocchiamo, lo invochiamo.

Azzardiamo a un ritorno, a una reincarnazione, alla voglia di

ripoter abbracciare, baciare, schiaffeggiare, accarezzare,

toccare quell’insieme di arti che tanto abbiamo amato.

Il viso ha bisogno degli occhi per vedere, guardare, osservare,

nutrire, alimentare con le immagini la nostra mente in un

vortice di stimoli, di spunti, di idee originali, geniali.

Ha bisogno del naso per scartare “merce” avariata, non

 

 

 

 

 

 

 

 

prelibata spesso avvelenata; di fiutare a distanza donne e

uomini non “compatibili”, spesso irriconoscibili perché

travestiti, svestiti, truccati, mascherati, alterati.

La bocca, carnosa, sottile, sincera, bugiarda che dice e non

dice, parla e sta zitta, trema, sta chiusa e aperta, si allunga

e si accorcia. Lancia cattiverie, malignità, offese che

distruggono ma è anche capace di esternare dolcezze, bellezze.

L’ orecchio per sentire, equilibrare, orientare. Ma per chi

ha perso l’udito, a che cosa serve? Il corpo non ne ha più

bisogno. Lo odiamo? No, non lo calcoliamo, lo dimentichiamo.

Avevi 17 mesi, eri piccolo, piccolissimo quando tutto diventò

silenzio, anche il cane sotto casa sembrava non avere più

il “suo abbaiare”, le auto il loro rombare, noi la voce per

parlare, gridare il nostro dolore al tuo futuro a soffrire.

I corpi che comunicano con il silenzio non sono capiti,

apprezzati, valutati per quello che sono. Vengono classificati,

omologati, standardizzati come sordi = poverini, piccolini.

Pochi hanno osato o osano riconoscere, riconoscergli quello

che è loro dovuto per come sono, perché sono. Persone, corpi

capaci di produrre, di fare, di organizzare, di lavorare, di

cucinare, di guidare, di studiare, ……………, di amare!!!

Eppure le persone hanno paura di provare sentimenti,

emozioni, di condividerli con corpi “silenziosi”, che hanno

bisogno di “bocche” labiali geniali, esperte per trasmettere

messaggi, conversazioni, senza sapere che, a parte l’orecchio

tutto il corpo si è “attrezzato” a sentire, ogni segmento

corporeo ha allestito sensori “a pelle” pronti a captare

la più piccola emozione, sollecitazione, tensione. Non sfugge

niente, tutto viene computerizzato, registrato

e memorizzato umanamente, sensibilmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche quando il corpo “manca” di qualcosa, non ha paura, non ha

bisogno di pietà, di commiserazione, della parola “poverino”

può farne volentieri a meno. Fidarci di più della

“fisicità che manca” per non umiliare, disprezzare, ma

considerare, apprezzare, applaudire, riconoscere la differenza

e la diversità e che la limitatezza nell’uomo è altrove.

I corpi “silenziosi” sono generosi, volonterosi, scrupolosi,

testardi, tenaci, capaci.

La frase: “Perché proprio a me?”,  fa capire a chi ne avesse

ancora bisogno, di come la vita selezioni, prediliga

di dare un destino a uno e non all’altro, così a caso, come

a una roulette russa.

Per chi ha fede la soluzione è un’altra: a dirla con le parole

di un padre francescano: “ Sei stata scelta tu perché pronta,

preparata a caricarti di questa esperienza piena di prove

forti che non tutti sono in grado di affrontare, di arginare,

di sopportare”. Una scelta per èlite, per pochi privilegiati,                    

per selezionati? Certo, per corpi e per menti di un certo

“impatto”, che danno lo sfratto a tristezza, depressione,

commiserazione, rassegnazione; affittando, invece, la voglia

di non arrendersi mai, di non cedere mai, mai, mai e poi mai.

E’ presto ancora per cantare vittoria di questa esistenza

silenziosa, di questa unione totale di corpi che insieme

hanno scalato montagne di pregiudizi, di incoerenze,

di banalità, di stupidità, di falsità.

Ma una cosa è certa: alcuni obiettivi raggiunti, anche

complessi; alcune persone sbagliate, eliminate; altre

premiate.

Corpi…… “in fede”, di fede cattolica, ebraica, mussulmana,

corpi velati, celati, visi di donne“a quadretti” , negate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

della loro identità, socialità.

I corpi, nascosti da non – colori, rivendicano libertà di

movimenti, di sentimenti, di tradimenti, di “esperimenti”.

Un corpo, il corpo nella croce, in quella Croce. Sfinito,

morente, che supplica il Padre Suo in un grido umano,

un corpo frustato, sputato, umiliato, bastonato: così vero, autentico nella sua fisicità, nella sua Santità.

Eppure abbiamo bisogno di ri-concretizzare quella morte del corpo, per credere davvero, di un lenzuolo che sigli quella altezza, quelle dimensioni, quei segmenti.  Ma di che fede parliamo? Non certo di quella vera, che non ha bisogno di toccare con mano per dire… è, c’è…, sarà…. per sempre, per l’eternità, nell’aldilà.

Quando il corpo va oltre, dove non sappiamo, non conosciamo, dove vogliamo, dove crediamo.

Corpi,

vi ho scoperto, riscoperto,

affrontato, denudato, esorcizzato, narrato.

Vi ho cercato, scovato, amato.

Mi avete aiutata a conoscere più di me, di te, di loro.

Mi avete rilassata, traumatizzata, esasperata.

Mi avete dato un lavoro perché con voi, su di voi, per voi ho studiato, ricercato e spero……. dato!

Corpo,

mi hai dato la carica quando l’avevo spenta,

mi hai dato amore anche quando non l’avevo richiesto,

ti sei fatto tatuare per non dimenticare,

sei stato altruista e non egoista,

sei generoso, anche quando non sei in forma, fai di tutto per non farlo pesare, mi fai apparire bella anche quando………………………………………….

Volere è potere! Corpi, per raccontare e raccontarsi

in un travaglio e in un parto di emozioni, di sensazioni.

 
( ISTRUZIONI PER L’USO: rileggere queste pagine con in sottofondo la canzone “LE DONNE LO SANNO” di Ligabue)

Visite totali ad oggi

Istituto di Cultura di Napoli via Bernardo Cavallino, 89 (“la Cittadella”) 80131 - Napoli tel. +39 081 5461662 fax +39 081 2203022 tel. mobile +39 339 2858243 posta elettronica: ici@istitalianodicultura.org

Realizzato da ADS NETWORK