Luciana Tagle – Teatro d’ombre

Da una distanza incolmabile

Nebulose figure, cupe misteriose trasparenze questi versi di Luciana Tagle: come da una distanza incolmabile tesi a delineare un’evanescente ‘storia dell’anima’, post-moderno flatus vocis alla ricerca d’un senso di se stessi e del mondo. Varî gli strumenti della poetessa, che con foga nominatoria evoca medievali referenti di una realtà che appare tuttavia inafferrabile, ovvero aerea e sfuggente come una chimera: «nomina sunt consequentia rerum», idest «cancello quando entro / nella tua stanza per toccare / gli oggetti che ti sei lasciata / indietro — lo specchietto / del trucco orecchini qualche biglietto / messaggi cifrati numeri / telefonici versi» (14 febbraio). Certo, tema sveviano anche, di un viluppo interiore di velleità ed impulsi che non riesce, non può farsi azione, o chiara volontà.

È «una distanza inseparabile», a riprendere il titolo d’un bel libro di Camillo Pennati, dalla quale parla Luciana: «appena ne traluce / forse qua e là qualche nota dolente / bemolle sotterraneo della tua non-vita» (Marta e Maria). Già: «non-vita»; non-vita d’una ‘viaggiatrice cerimoniosa’ che ama-non ama «scendere dal treno in una stazione / di provincia dove / non ti aspetta nessuno / ed affondare in questa tarda / mattinata dentro una nebbia / polverosa di sole / sfocato lungo strade sconosciute / fino al tavolino di un caffè».

Un altro strumento, ancóra (dopo Caproni, Pound): il multilinguismo, sotteso di citazioni e modelli — dagli Spagnoli, ai Francesi agli Inglesi: tutta ‘poesia pura’, dal tanto amato García Lorca alla «musique avant toute chose» d’un Verlaine (ma anche con la domanda — quanta tenera nostalgia! — «Qu’as-tu fait de ta jeunesse?») all’Eliot della Waste Land e dei caffè al Hofgarten («Summer surprised us, coming over the Starnbergersee / With a shower of rain; we stopped in the colonnade, / And went on in sunlight, into the Hofgarten, / And drank coffee, and talked for an hour.»).

Come districarsi, in questo labirinto? dove cercare la montaliana «parola che mondi possa aprirti»? Se le parole sono cose, bagliori nella notte: «Questa parola che stai cercando dileguata nel labirinto / della tua mente e che lascia dietro di sé un’eco di passi / che tu insegui che tu insegui come un essere amato e perduto / questa scia luminosa ti sta dicendo sommessa che per i poeti / la parola non è solo un nome la parola è la cosa» (Sesamo, amabilmente fitta di iterationes); se la poesia può comunque inventarsi una ‘lingua del cuore’, come nella Canzonetta di Orfeo, dedicata al nume tutelare Dino Campana: «E parlando al tuo cuore buio / nel paesaggio dei tuoi pensieri / ho inventato una lingua oscura / questa notte dei desideri»; se il verso si scioglie nel suono dell’arietta verlainiano-gozzaniana che fa tanto Settecento, ma che poi scocca fulminea al cuore della modernità: «Cara, poi che il tuo aiuto / (fuoco frange e velluto) / dischiuderà i miei occhi / perduti ai tuoi ginocchi / e poi che la tua vita / chiusa sola e smarrita / nessuno avrà più in cura / fino alla sepoltura / come ultimo disìo: / A Dio! A Dio!» (À mon ange). Ma sì : è ancóra il «cuore oscuro / della notte», in Tre apparizioni del suono, a «evocare / la Rima / ponte gettato sul nulla», rima torta al punto da giuocarsi sull’ironia estrema del registro colloquiale, ma tanto sorvegliato: «perché un senso ce l’ha di sicuro / ma non spetta a me trovarlo» (La ruota).

Come va a finire, chiederete: nel silenzio, obviously, ma quanto eloquente! Qui, nella sala degli angeli, nei versi dedicati a Mario Luzi, e in quelli offerti a John Keats («uno il cui nome fu scritto sull’acqua», come recita il suo epitaffio): «e nel silenzio sarà più dolce la musica svanita / e forse solo allora una cosa bella sarà / una gioia per sempre ed un’eterna verità…» (Ode su un multiplo seriale).

Cosa potreste chiedere di più ad una poesia così moderna, così importante come questa? che percorre così — con chiarore e pensosa leggerezza — tutta la scala dei suoni e dei timbri, dalla voce al silenzio, fino al passo supremo del nulla?

Prefazione di Roberto Pasanisi

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Luciana Tagle

Luciana Tagle, nata a Napoli nel 1939, già insegnante di Italiano alle Scuole superiori, ha pubblicato i volumi di poesie I canti dell’alba (1950), Iridescenze (1952) e Un polso ferito (1999), La casa sulla golena (2000) e Teatro d’ombre, Napoli, Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli, 2002 (Prefazione di Roberto Pasanisi) e Terra di Nessuno (2002). Suoi versi sono giù usciti in varie riviste, fra le quali “Nuove Lettere”, IV-VII, 5-8, 1993-96. È stata inoltre presentata come poetessa nel corso del II anno accademico del Laboratorio permanente di poesia contemporanea dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli (1993). Ha ottenuto la Segnalazione speciale alla I (1992), II (1993) e III (1994) edizione del Premio Internazionale di Poesia e Letteratura “Nuove Lettere”, vincendolo poi nel 1996 con Teatro d’ombre. Suoi versi sono usciti in Roberto Pasanisi – Gerardo Salvadori (a cura di), ‘900 e oltre. Inediti italiani di poesia contemporanea, Napoli, Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli, 1997 (Prefazione di Pompeo Giannantonio).

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