Nuove libri delle ICI Edizioni usciti nel 2016

Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli

 

ICI Edizioni

 

via Bernardo Cavallino, 89 (“la Cittadella”); 80131 Napoli (Italia)

tel. 081 / 546 16 62 –  fax 081 / 220 30 22 – tel. mobile 339 / 285 82 43

sito www.istitalianodicultura.org

posta elettronica iciedizioni@istitalianodicultura.org

prefisso editore: 8889203 – codice Alice: 44935 – codice editore: 206490

 

Direttore editoriale: Roberto Pasanisi

 

distribuite da

LIBRI DIFFUSI

L’Istituto Italiano di Cultura di Napoli (ICI) (www.istitalianodicultura.org; ici@istitalianodicultura.org), in collaborazione con la rivista internazionale di poesia e letteratura “Nuove Lettere” (da esso edita), pubblica cinque collane editoriali: due di poesia (entrambe dirette da Roberto Pasanisi: una intitolata Lo specchio oscuro, l’altra — di plaquette — intitolata Nugae); due di narrativa (una già diretta da Giorgio Saviane ed intitolata La bellezza; l’altra — di plaquette — diretta da Roberto Pasanisi ed intitolata Gli angeli); e due di saggistica letteraria (una già diretta da Franco Fortini ed intitolata Lettere Italiane; l’altra — di plaquette — diretta da Roberto Pasanisi ed intitolata Romanitas).

Le ICI Edizioni Elettroniche pubblicano tre collane di libri elettronici: una di poesia (Adriana), una di narrativa (La Cittadella) e una di saggistica (Neapolis).
Il Comitato di lettura delle Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli (ICI Edizioni) è costituito da Constantin Frosin (Lingua e letteratura francese, Università “Danubius”, Galaţi; scrittore), Antonio Illiano (Lingua e letteratura italiana, University of North Carolina at Chapel Hill), Roberto Pasanisi (Lingua e letteratura italiana, Università Cattolica di Lovanio; direttore, Istituto Italiano di Cultura di Napoli; direttore, “Nuove Lettere”; scrittore), Mario Susko (Letteratura americana, State University of New York, Nassau; scrittore), Násos Vaghenás (Teoria e critica letteraria, Università di Atene; scrittore) e Nguyen Van Hoan (Letteratura italiana e Letteratura vietnamita, Università di Hanoi).

I testi inediti, in qualunque lingua, proposti per la pubblicazione dovranno essere inviati elettronicamente a ici@istitalianodicultura.org o per posta al seguente indirizzo: Istituto Italiano di Cultura di Napoli; via Bernardo Cavallino, 89 (“la Cittadella”); 80131 Napoli (Italia). Essi saranno vagliati da un Comitato di lettura costituito dai Redattori di “Nuove Lettere”:  Constantin Frosin, Antonio Illiano, Roberto Pasanisi, Mario Susko, Násos Vaghenás e Nguyen Van Hoan.
Le Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura si impegnano a fornire una risposta agli autori in tempi brevi.
La pubblicazione in volume del testo proposto, in caso di parere favorevole del Comitato scientifico di lettura, sarà a cura dell’Istituto, che si impegna altresì a sostenere l’opera con un’adeguata campagna pubblicitaria, a curarne la diffusione per posta  fra gli ‘addetti ai lavori’ (critici, giornalisti, scrittori, ecc.) e fra i suoi soci (2.100 in tutto il mondo, fra cui molti artisti e letterati famosi), che lo riceveranno automaticamente in quanto compreso nella ‘quota associativa’; nonché a proporlo per una recensione alle principali riviste del settore. S’intende che uno dei canali a disposizione dell’Istituto sarà costituito da “Nuove Lettere”.
Inoltre viene effettuata una distribuzione nazionale in libreria attraverso il distributore librario Libro Co. Italia. (www.libroco.it).
Il volume sarà edito in elegante veste editoriale e tirato in 3.000 copie.
L’autore potrà, a scelta, far precedere il suo testo da una Prefazione da lui stesso proposta o richiederne una all’Istituto, che provvederà ad affidarla ad uno dei componenti del Comitato di lettura.

FUORI  COLLANA

16. Roberto Pasanisi (a cura di), E piove in petto una dolcezza inquieta. Antologia di poesia italiana contemporanea (Prefazione di Roberto Pasanisi) 2016 € 15 ISBN 88-89203-02-1

 

 

Il poeta tra le rovine. Fra ‘civiltà di massa’ e ‘morte dei valori’ una via oltre la modernità.

Più in generale, come già aveva compreso Platone, antesignanamente ponendosi  in una prospettiva di ‘psicologia del profondo’21, i messaggi martellanti e spesso subliminali inviati dal potere occultamente piegano l’individuo agli imperativi del sistema: non è necessario che egli ne segua razionalmente e alla lettera le direttive; è bensì sufficiente che, da un lato, si assuefaccia ai valori del potere, registrandoli inconsapevolmente nel suo Inconscio, abituandosi ad essi e a considerarli normali per quanto deprecabili; che, dall’altro, trovi una giustificazione ideologica al suo agire conforme agli imperativi del capitale. Il cinema e la televisione costituiscono due fra i canali maggiormente privilegiati dal sistema dominante per imporre alle masse la propria ‘visione del mondo’22.
Sensibili sono, in tutto questo, le analogie col Trecento, di cui sembrano ciclicamente riprodursi, sia pure in una prospettiva assai più ampia e complessa, tanto il terremoto ideologico e culturale quanto la progressiva estensione della categoria dell’ ‘economico’23; ma l’alienante drammaticità d’una condizione in cui il valore dell’uomo è legato ai suoi chrémata era già dolorosamente avvertita dalla cultura greca arcaica, da Teognide fino all’Anonimo dell’Athenaíon politeía.
In tutto questo emerge il drammatico straniamento di un’umanità che ha smarrito l’armonia fra ánthropos e physis, che era stato uno dei più profondi insegnamenti lasciati in eredità dal mondo classico alle generazioni a venire, e che è il cuore dell’Umanesimo. L’uomo moderno insomma, per usare una categoria ideologica della cultura greca arcaica, si è macchiato di hybris, valicando con folle ‘tracotanza’ i suoi limiti e sconvolgendo il naturale ordine delle cose, che ora inesorabilmente gli si rivoltano contro, di giorno in giorno più minacciose.
D’altra parte, i ‘valori’ effettivamente rappresentano un elemento irrinunciabile per la sopravvivenza psichica dell’uomo moderno: come dice Joseph Wood Krutch in The Modern Temper, «Tutte le società che hanno oltrepassato il vigore della loro giovinezza rivelano la loro perdita di fede nella vita col non considerare più quei processi fondamentali che come mezzi ad un fine. […] La volontà subumana di vivere che è interamente sufficiente per l’animale può essere rimpiazzata dalla fede, la fede può essere rimpiazzata dalla filosofia, e la filosofia può attenuarsi finché diventa un puro gioco, come la moderna metafisica»24. In effetti, come dice Luigi Lombardi Satriani, «il conferimento di senso è uno dei nostri bisogni psichici fondamentali. Noi non riusciamo a sopravvivere se non diamo senso al mondo e al nostro agire. La perdita di senso costituisce alienazione in senso radicale, cioè l’esperienza della follia»25.
Il cómpito della letteratura – e segnatamente della poesia – appare dunque, sotto varî aspetti, privilegiato: non solo da un punto di vista razionale, idest critico, ma anche (e staremmo per dire soprattutto) rivoluzionario, ribellisticamente ‘altra’ rispetto al sistema, attingendo essa direttamente all’Inconscio; insomma alla primigenia, violenta purezza dell’istintuale e del biologico. Ne nasce così una creativa dialettica fra letteratura e potere, visto anche che «Ogni cultura è sempre il frutto di un equilibrio tra l’esigenza della norma e l’esigenza della trasgressione»26. Come ha detto Michel Foucault nella sua ormai celebre Storia della follia, «l’essere della letteratura, così come si produce dopo Mallarmé e sino ai nostri giorni, conquista la regione dove, da Freud in poi, avviene l’esperienza della follia»27.  E se è vero, com’è vero, che «La poesia è l’arma con cui la ragione ascolta organizza ed esprime, nel tentativo di contrapporsi alla morte del sentire, alla follia che appunto sempre la insidia»28, l’artista deve dunque venire ad inscrivere la sua azione sotto il segno d’un paradosso, d’una tragica ma fattiva antinomia: «essere contestualmente elemento del sistema» (così da non esserne emarginato, e potere quindi far sentire la propria voce) «e un antagonista del sistema»29 (così da esserne la dinamica ‘coscienza critica’, la sua inarrestabile dialettica interna). Visto anche che, come scrive Horkheimer, «Al culmine del processo di razionalizzazione, la ragione è diventata irrazionale e stupida».
Una volta, «rivoluzionari erano coloro che, dopo aver fatto della teoria magari fondando un giornale, passavano all’azione. Oggi c’è forse necessità di passare dall’azione alla teoria, ossia a una nuova cultura della rivolta contro lo stato di cose: magari facendo, appunto, un giornale»30 od un’antologia di poesia: perché, come ha detto Hugo Friedrich, «La lirica è rimasta comunque, nella sua potenza grandiosa e pur così lieve, una delle libertà e delle audacie con cui la nostra epoca riesce a sfuggire alle catene della funzionalità»31.

Roberto  Pasanisi

 

Collana di saggistica in plaquette dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli
diretta da Roberto Pasanisi

ROMANITAS

1.    Paolo Pratesi, Niccolò Machiavelli (1465-1527). Il Principe (Prefazione di Marinella Galletti) 2016 € 10 ISBN 88-89203-69-2

Niccolò Machiavelli di Paolo Pratesi è uno studio per la messa a fuoco della passione, dell’energia teoretica del diplomatico fiorentino e stratega militare, e della ‘fortuna’ che la sua opera cardine, Il Principe, incontrò nella sua epoca, il Rinascimento maturo, riscontrandosi in essere nell’ ‘animo’ delle ‘personalità machiavelliche’ ‘per natura’ e/o per i concetti contenuti acquisibili e riferiti ad essa.
La ricerca si sviluppa attraverso un’ indagine strutturata, sostanzialmente, su tre trattazioni di fondo, a cominciare dal contesto sociale e territoriale in cui Machiavelli si forma culturalmente e politicamente; per passare all’ analisi antologica de Il Principe; e procedere infine sulle orme della celebrità e degli effetti che l’opera ebbe sui re e sulle regine d’Europa. Un’indagine serrata che giunge al culmine nell’analisi dell’operato di Enrico VIII e di Caterina de’ Medici.
Il libro si apre sullo sfondo dei luoghi che fecero della Firenze dell’epoca il giardino della Cultura Rinascimentale: la villa “l’Albergaccio” dove  Machiavelli, all’ epoca ambasciatore a servizio dello Stato di Firenze, darà inizio, nel 1513, alla sua opera fondamentale De principatibus. Dalla fitta trama ricostruttiva della personalità machiavellica basata su stringenti documenti storici,  l’autore visualizza rapidamente il giardino dei Marchesi Rucellai, presso Santa Maria Novella, dove gli studiosi umanisti si incontravano: «Il giardino esiste ancora: vasto, ombroso, segregato dal mondo esterno per mezzo di un alto muro […]»; per chiudersi a Trento, con il Concilio che nel 1559 impose l’iscrizione delle opere dell’autore del Principe fra i libri proibiti da parte di papa Paolo IV. «Le opere di Machiavelli che non scandalizzavano la Chiesa di Clemente VII, ora venivano ripudiate dalla rinnovata Chiesa Tridentina».
Il testo è incisivo e sempre diretto agli aspetti tecnici dell’ opera Il Principe, nonché alla dialettica fra società e poteri economici e politici osservati da Macchiavelli, o a lui contemporanei.  L’ autore mette in luce la concezione di Stato nazionale in Machiavelli passando in rassegna «[…] i fatti che hanno dimostrato come i principati si conquistano, si consolidano o si perdono usando la violenza, oppure la falsa benevolenza nei riguardi dei sudditi».
Oltre ad essere un’importante testimonianza storica, il libro rappresenta una chiave di lettura per collocare simultaneamente i protagonisti di un’epoca in cui le vicende dei decisori, papi, politici, principi, signori, bancarî e mercanti si palesano trasversalmente ad azioni barbare, incivili, o cospirative, sullo sfondo dell’Umanesimo e della sublime arte di Botticelli, del Ghirlandaio, o di Filippo Lippi, solo per citare alcuni degli artisti chiamati alla corte dei papi, dei Borgia, degli Sforza, dei Medici.
Dei 26 capitoli di cui è formata Il Principe, l’autore ne esamina alcuni, quelli più discussi, dai quali far emergere «[…] le qualità desiderabili che devono essere peculiari del sovrano nell’arte di governare». I valori discussi nel libro interessano in modo particolare ‘la fortuna’, che per Macchiavelli «come la forza misteriosa, in modo capriccioso, guida le vicende degli uomini […]. La fortuna è donna e, in quanto donna, […] è amica dei giovani che la sanno dominare». E numerose sono le figure femminili che rappresentano «le qualità  desiderabili» e gli interessi del Principe, documentate attraverso  vicende caratterizzanti le relazioni familiari e di potere, o le relazioni dirette e/o indirette delle protagoniste con Niccolò Machiavelli. Quelle donne, principesse, consorti, sovrane, feudatarie, parenti di papi e di cardinali, da Caterina Sforza a Caterina de’ Medici, attive nella società politica del Rinascimento, organizzano corti e accademie, governano come reggenti, partecipano alla lotta politica, sono alla testa di piccoli eserciti, a  dimostrazione del nesso esistente tra le donne e i ruoli, e i giochi di potere, dell’aristocrazia rinascimentale, al pari degli uomini.
Chiave di lettura di tutte le vicende storiche ricostruite sono le famose parole dell’autore: «Il rapporto tra politica e morale è che devono essere del tutto separate», per dirla secondo la celeberrima e ininterrottamente discussa posizione di Nicolò Macchiavelli.
Marinella Galletti
 

LO SPECCHIO OSCURO

Collana di poesia dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli diretta da Roberto Pasanisi

sigla Catalogo degli Editori Italiani: SO

67. Laura Piacentini, Fili d’inchiostro blu (Prefazione dell’autrice) 2015 € 8 ISBN 88-89203-97-8

Questa raccolta di poesia, Via Sehnsucht –pubblicata con la prefazione di Giovanni Teresi nelle Edizioni dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli in séguito al Premio “Nuove Lettere” –, sono istantanee sentimentali, miniature acquerellate di vita giovanile, racconti in versi, cammei di figure nei quali si rispecchia la sua tersa interiorità.

L’arte per Laura piacentini è armonia compositiva, è ritrovare se stessi, è terapia che sostiene e guarisce. La sua voce lirica trabocca di una genuina carica emotiva connubio tra animata forza creativa, semplice, risoluta e mai falsata da orpelli leziosi, e un trasporto autentico fatto da poetici slanci che abbreviano la distanza tra il cuore e il pensiero. Nelle sue poesie troviamo parole dal ritmo incalzante, simili ad armoniose vibrazioni che si insinuano furtivamente nel cuore di chi legge e rivelano il grido della sua anima. il suo è un paesaggio ricco di emozioni, sempre rapita dalla bellezza della natura, scava nei suoi reconditi pensieri da cui nascono poesie intimistiche, equilibrate sintesi di parole, dove il ritmo schietto e lineare ed un linguaggio scorrevole ed essenziale, ci permettono di riconoscere il vero significato del suo canto meditativo. Ed è con le sue poesie incontaminate da iperboliche concettualità che ci rappresenta i suoi momenti di riflessione interiore, con semplici tracce di fili d’inchiostro blu.

Laura piacentini

 

68. Isabella Horn, Fuori luogo, fuori stagione (Prefazione di Umberto Stefanini) 2015 € 12 ISBN 88-89203-98-6

Storie inedite di un presente edito. Le poesie del nontempo

La vita offre il meglio di sé grazie al ‘viaggio’ che ogni uomo compie dentro e fuori, grazie ai sentieri che ogni uomo compie all’ interno della propria esistenza.

È sui sentieri che percorre quotidianamente che accanto agli altri – e  ai sentimenti altrui – egli scopre quanto sia grande il bisogno di cercare qualcosa di più profondo ed autentico.

L’uomo ha bisogno di viaggiare, di essere in costante cammino grazie all’ atavica esigenza di andare alla radice di se stesso per ristabilire un’autentica comunicazione con i suoi simili e con le cose.

La poesia, si evince, può essere uno degli strumenti di tale ricerca; essa non può cambiare e trasformare il mondo ma può spingere l’ uomo a ritrovare il senso di sé, indurlo a riflettere (ad aiutare gli altri) sul proprio ruolo nel mondo e del proprio rapporto con gli altri.

Nei testi scaturisce incontrastata una soggettiva ed ispirata ricerca stilistica che ciascun autore affida con forza ed originalità alla poesia dell’ anima.

Fuori luogo, fuori stagione ha in sé poesie che descrivono la condizione umana del presente radicalizzando espressioni e sensazioni che ‘partono’ da stati individuali di turbamento, di alterazione, di commozione, di sogno.

Un linguaggio nuovo (accompagna ogni autore), cui le parole si adagiano come strumento esplicativo o ludico, ‘affronta’ la parte oscura di se stessi e della propria anima.

Esperienze e parole – consone o riadattate – parti di sé in movimento ed in costante ‘viaggio’ attraversano quello che il presente è per ciascun poeta: ogni poesia scandaglia il qui ed ora divenendo e trasformandosi in luoghi reali che visualizzano, raccontano, decifrano ciò che sono e quello che vedono.

Piani alti di palazzi, alberi, strade, stagioni parlano ed interloquiscono in primis con il poeta e gli donano – felici o ardue – parole e contesti che ciascuno di noi avrebbe voluto dire ma che ha piacere di ‘ascoltare’ per essere accompagnato durante il proprio viaggio nel Nontempo.

Turbinio di emozioni e di stati d’ animo conducono a sentirsi parte di una realtà che, spesso, viene descritta come un ‘non tempo’ dove, però, guizzi radiosi e fiamme indomite ne danno barlume di speranza verso esperienze tese prima ad osservare poi a mutare il presente.

La penna e il moto dell’ anima sono i compagno di viaggio di ciascun autore, di ogni lettore e numerose e varie sono le strutture, i toni, i temi descritti per richiamare, evocare, condurre verso un presente che è vissuto – in molti casi – come poesia ardua.

Il poeta russo Majakovskij dice che la penna deve essere impugnata soltanto quando non vi sia altro mezzo d’ espressione che il verso 

E l’impresa è comprendere il verso giusto della vita affrontando la parte oscura, nascosta, segreta della vita, un viaggio in un proprio personale – e plurale – mondo.

E occorre citare Friederich Schlegel che a riguardo espresse che la ragione è una, è in tutti la medesima. Ma ogni uomo, proprio come ha una sua natura e un suo amore, porta in sé una poesia a lui peculiare, che deve e non può restare sua, come certo che egli è quello che è qualcosa di primigenio si cela in lui da sempre.

La poesia – e qui ogni testo lo rivela – è anche rispondere soltanto alla verità di se stessi intrecciandosi ed affidandosi, rapiti, agli sfoghi dell’anima.

Tipico di tanta poesia e di questa raccolta è il verso libero ove i poeti dimostrano di tagliare il flusso poetico attraverso il gioco delle strofe e la capacità di combinarle tra loro nella scelta delle parole e della loro musicalità.

Ogni lettore è invitato a porre particolare attenzione a tutto ciò che lo avvicina al proprio mondo per giocare a trovare alcune delle tematiche cui riconoscersi nella riflessione introspettiva e nella meditazione degli eventi salienti della vita: l’ infanzia, al fanciullezza, l’ amore, la natura delle cose, la nascita, la vecchiaia.

Umberto Stefanini

69. Stefano Zangheri, l’isola di bouvet (Prefazione di Rita Mascialino) 2015 € 20 ISBN 88-89203-99-4

Dopo la lunga cavalcata in compagnia di Stefano Zangheri, analizziamo ora un’altra magnifica poesia, breve, incisiva ed emozionante,  voce innocente che non può non associare per qualche eco e risonanza contenutistica l’altrettanto splendida composizione di Jacques Prévert Les feuilles mortesLe foglie morte:

voce innocente

sono solo le foglie

che cadono

i ricordi restano

tronchi di solitudine

in alto

non in terra

dove le nubi

volano lente

ed hanno luoghi

da esplorare

nell’aria gialla

delle foglie morte

Nella citata poesia di Jacques Prévert le foglie morte cadono al suolo e si raccolgono assieme ai ricordi e ai rimpianti pure caduti al suolo, perché il freddo vento del Nord porti gli stessi nella solitudine dell’oblio, appunto quasi in un’Isola di Bouvet, e allora il poeta vorrebbe che la donna amata si ricordasse, come lui, delle ore felici quando essi erano amici e la vita era per questo più bella. Un’Isola di Bouvet che è l’approdo della vita in Prévert, non l’esperienza vissuta dopo la quale cessa l’azione attiva e si può accogliere in sé l’inno zangheriano alla vita intesa nelle forme più fini. Per il poeta Zangheri, nella sua potente immagine poetica, solo le foglie cadono al suolo, solo le esperienze vissute svaniscono, hanno una fine e non tornano più, i ricordi delle stesse restano seppure in solitudine e restano non a terra come le foglie cadute, ma in alto, nelle sfere nobili per così dire del sentire. Là cessa la furia della vita nella quale gli eventi si susseguono veloci e si cancellano altrettanto velocemente, là regnano la calma, la lentezza della contemplazione utili all’elaborazione del vissuto in ricordo, nella fattispecie nel ricordo poetico perché è la poesia che dà memoria alla vita dell’uomo. E i ricordi vivono come voci innocenti, come materia non corruttibile, pura e innocente in quanto privata delle scorie intrinseche all’esperienza concreta, non sono morti, ma solo si nutrono comunque dell’humus prodotto dalla morte delle foglie gialle cadute, delle esperienze che non sono più, sono solitari, ma hanno le loro radici nella terra in quanto tronchi. In altri termini: una poesia che esplora non la vita materiale, ma luoghi che stanno nell’aria gialla della morte di ciò che ha avuto vita per dare ad essa memoria, ossia si nutre delle esperienze vissute e ormai morte, ciò in assonanza lontana, ma percettibile, alla prigione estetica in cui i due cavalli sono sì prigionieri, ma dopo il lungo viaggio nell’esperienza esistenziale, così che possono capire il senso della vita, la bellezza della vita come mai in altro luogo che non sia l’arte, la poesia con tutto il suo più acceso eros, come mai fuori dall’amore che lega due esseri che capiscono assieme la vita in un eros raffinato e dolcissimo, dove non regna alcuna sopraffazione.

Per terminare con la breve presentazione di qualche tratto della poesia di Stefano Zangheri: le sensazioni olfattive sono un importante motivo conduttore della stessa, un po’ proustianamente come occasione per la memoria, un po’ come immancabile complemento e spesso guida dell’esperienza a livello istintuale, talora con punte anche molto forti come ad esempio nella poesia oltre che ribadisce il punto fermo degli affetti e dell’amore come ago della bilancia e bussola di orientamento nella vita degli umani:

“(…) Chi gioca e gioca solo senza affetti / chi ha l’odore di pesce/in una piega amara del suo sesso / (…)

Sono versi che trasmettono sensazioni forti, volutamente molto forti: l’odore di pesce in una piega amara del sesso colpisce in un primo momento sgradevolmente la sensibilità, perché pone gli esseri umani di fronte alla loro animalità senza veli, direttamente, perché toglie  l’illusione di non odorare di vecchio, di inutilizzato, di sporco. Colpisce in faccia il perbenismo che vuole gli esseri umani come persone e non come animali dotati di tutto il bagaglio obbligato di questi. Ma al di là della sgradevolezza associata all’odore animalesco, c’è comunque e appunto altro. Si tratta di un sesso che non viene adoperato da lungo tempo e che non ha il ricambio dei freschi liquidi dell’uso, l’abbandono ha fatto il suo ingresso e blocca ogni strada ulteriore, così che non è possibile proseguire: l’orrido odore della solitudine connota chi non ha affetti e può giocare quindi solo con se stesso, questo in piena sintonia con il messaggio generale contenuto nella silloge di Stefano Zangheri, come anticipato: un inno alla vita vissuta in due dandosi ad essa nel bene e nel bello, in una umanità dai tratti più fini e spirituali.

Rita Mascialino

 

Collana di narrativa dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli

già diretta da Giorgio Saviane

 

LA BELLEZZA

sigla Catalogo degli Editori Italiani: BEL

 

43. Salvatore Piccoli, Le stagioni di Fondachello e altri spiriti (Prefazione di Giovanni Teresi) € 10  ISBN 88-89203-81-1

 

Viaggio interiore, fantasia e ricerca di senso

Ci sono volte in cui un autore, attraverso l’utilizzo spregiudicato della fantasia, si dà alla libera creazione di storie, figure e luoghi al fine di esprimere meglio la propria realtà interiore. Simile per alcune suggestioni ai quadri di René Magritte o a certi lavori di Alain Resnais, il racconto di Luigi Terreri ci trascina in effetti un mondo ‘altro’, laddove le connotazioni spaziali e temporali si sfumano al punto da trascinarci in una realtà semi-onirica, in cui le differenze tra presenza e assenza, realtà e pensiero, scompaiono per fondersi in un magma primordiale. Ma poiché è vero che molte volte un contenuto si lascia esprimere meglio da una forma ad esso affine, accade qui sovente che anche il linguaggio e la modalità espressiva utilizzati rigettino volutamente la logica sequenziale e il senso comune, per darsi ad un serrato e autoterapeutico flusso di coscienza ricco di simboli e suggestioni. Il salto ci parla di un viaggio, percorribile da ognuno di noi, che è metafora della scoperta mai conclusa della propria interiorità (come è scritto «guardare sé stessi mentre si sta facendo qualcosa è sempre una cosa molto affascinante…»); della ricerca del senso ultimo delle cose («la morte non era l’ultima parola della vita»); della voglia di raggiungere una pienezza spirituale capace di liberarci dalle catene dell’incredulità e della paura: la paura di scomparire o essere invisibili. Grazie all’ascolto,  agli «stati alternativi della mente», è possibile mutare i propri consueti binari, comprendere che la creazione di qualcosa di nuovo avviene soltanto laddove convivono l’amore e la morte, giungere a una calda  dimensione di autenticità. Ma la «connessione invisibile» tra le cose che non si riesce a percepire con gli occhi, «la pulsione che crea» o meglio «l’eternità creativa in movimento», sembrano essere a portata di mano eppure sparire. I luoghi, le vicende e i personaggi della storia, dai tratti naïf e dalle caratteristiche tipologiche, isolati eppure desiderosi di dialogo, sono da un lato i protagonisti di questa storia surreale e misteriosa, dall’altro le possibili parti del nostro inconscio: nelle poche volte in cui interagiscono essi si lasciano andare a curative anamnesi reciproche, nella convinzione che la nostra interiorità riveli tratti di sapienza e saggezza superiori a quelli raggiunti dalla nostra mente cosciente. Al centro di tutto, ultimo baluardo della bellezza e raccordo con la trascendenza, le salvifiche figure femminili che profetizzano, indirizzano, hanno già compreso, ma anche le figure genitoriali di cui si intravede la fondamentale presenza, ricorrente pur nell’assenza. In questa fantasmagorica narrazione fatta di apparizioni e sparizioni, che ci sovviene a tratti l’aurorale profetizzare nietzscheano, un’importanza centrale è conferita anche alla dimensione del suono che apre al sacro, sia esso presente nei canti celestiali e nelle formule, sia esso assente nel pervasivo silenzio. Anche il distacco dei suoni dalle cose, cui sono associati in maniera arbitraria tramite i nomi, si rivelerà foriero di una decisiva presa di coscienza: «Ad esempio, le parole ‘triste’ o ‘contento’ rappresentano diverse tristezze o contentezze. […] L’associazione del dolore ad una forma, un colore, una temperatura, un suono, una sensazione tattile, aveva determinato la scomparsa della parola ‘dolore’, in una raffigurazione di un altro me stesso».

Il senso autentico del racconto di Terreri, già ampiamente annunciato, si rivela in tutta la sua chiarezza allorché la narrazione con il suo ciclico procedere diviene una metanarrazione sull’autore e la sua opera: Il salto non è infatti solo un titolo, ma il testo scritto dal protagonista (l’autore), analisi psicologica ed espressione interiore dei suoi timori e delle sue speranze («Leggi tu stesso ‘Il salto’, è un racconto su di te, e rifletti lentamente, valuta bene, e mentre lo stai facendo entra in una specie di trance.[…] interprete ed interpretato sono la stessa identica cosa; analizzatore ed analizzato si confondono l’un l’altro. Questo è il peggiore degli specchi!»). L’incredulità, mostro insaziabile, si riscatta tramutandosi in speranza e senso di pienezza, in un ascolto attivo, in un rinnovato equilibrio emotivo che si alimenta di nutrimento spirituale, nella consapevolezza che ciò che contamina l’uomo proviene solo dall’interno: «Sentivo il cuore gonfio pulsare, traboccare una forza immensa, incontenibile, eppure calma. E c’era un’assenza completa di vanità, un altro mondo, incorrotto, con la gioia dell’innocenza».

Germana Alberti

Collana di saggistica elettronica dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli diretta da Roberto Pasanisi Neapolis

  1. Giancarlo Carioti, Per un’ermeneutica dell’antinomia. Ovvero Il Libro dei Daimon (Introduzione dell’autore) pp. 206 2015 € 5 ISBN 88-89203-00-5

 Pronti a riconoscersi in viaggio verso o dentro

Affrontare un viaggio non è sempre facile, e non si è sempre pronti, specialmente se la destinazione sono “destinazioni” che già sono parte di ciascun uomo. Le destinazioni possono risultare apparentemente lontane ma per raggiungerle occorre – o basta decidere – da dove partire, in che momento della personale ricerca, verso quale investimento introspettivo e per quale decisione o obiettivo trasformativo. In questo ricco e poderoso testo, e nei vari libri interni, l’ autore parte – e sovente riparte – dal valore e dal concetto della dialettica nell’ uomo ed evince che, anche se contemporaneo, l’ uomo si espone e si esplora in quel mondo che è il proprio Sé, in una realtà esistenziale che è talvolta in comunione altre volte in conflitto con la realtà interiore … e è da qui che parte il cammino verso la “verità”. Il concetto di dialettica e la ricerca della verità sono insite nel rapporto relazionale tra intelletto e anima, tra immagine di Dio e morte come ricompensa, tra genio maligno e giudizio e tra uomo e idea salvifica della vita, e sono al centro di quel “luogo” – del sapere e affettivo –  che è l’ anima. Sapere e anima sono quanto mai vicine se il viaggio parte dall’ impulso primordiale che è la parte immortale – e giudice severo – dell’ uomo e della natura umana. La filosofia, la spiritualità e i processi elaborativi concepiti da esponenti decisivi, fondamentali, deliranti o marginali, ritroviamo in quest’ opera a travolgere il lettore su più registri armonici ove viene descritta, e confrontata, una condizione umana precaria ma che trova la propria soggettività in quella luce intuitiva che è l’ “oggetto” a cui si mira. Affrontare un viaggio verso luoghi lontani può viversi se l’ uomo è aperto ad intraprendere tutte le vie per il raggiungimento della meta che può essere, per molti, l’ agoniare a Dio partendo da un luogo spesso poco affrontato: la psiche. Scopriamo, così, l’ uomo e la natura umana in un’ analisi esaustiva e critica con riferimento, tra gli altri, alle opere e al pensiero di Socrate, Platone, S. Agostino e Schopenhauer; in ciascuno riscontriamo quell’ essenza incisiva che sta nella ricerca del bene e nel potere della trascendenza dello spirito.

E dove la via (il viaggio) è descritta nei concetti laici e cristiani di “entità” e in quello di “unità”. La dialettica e l’ intelligenza inducono a ritrovare il proprio Sé anche nella morte che è rinascita delle coscienze, della ragione e di quel sapere che può essere per taluni lettori la Trinità e per altri la ricerca stessa delle “certezze”. Affrontare un viaggio è decidere di partire dalle proprie convinzioni per lasciarsi modellare dal viaggio stesso.

Qui l’ autore ha constatato che le trasformazioni, le ricerche iniziano prevalentemente dall’ anima ed è da qui che si sceglie … se andare oltre o dentro sé stessi. “Solo spezzando le catene e guardando fuori si può scorgere la luce del sole che è                 l’immagine delle verità” e si potrà “smarrirsi su destini dell’ anima” fino a raggiungere la meta del viaggio.

Umberto Stefanini

 

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